24 gennaio 1966, Indira Gandhi diventa il Primo ministro d’India

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Di Redazione Metropolitan

Nata a Allahabad nel 1917, Indira Gandhi fu l’unica figlia del Primo ministro indiano Jawaharlal Nehru. La sua intera famiglia era fortemente coinvolta nella vita politica del Paese, e ciò non poté che influenzare la sua visione del mondo. Viaggiò per l’Europa e studiò ad Oxford, ampliando la sua cultura. Prese il cognome da Feroze Gandhi, l’uomo che sposò, ma da cui si separò presto. Questi non aveva nessuna parentela con Mahatma Gandhi, ed era meno coinvolto politicamente rispetto alla sua famiglia.

Condizionata da un fervido spirito d’indipendenza, Indira Gandhi venne arrestata per aver sventolato la bandiera nazionalista. L’India al tempo stava cercando in ogni modo di sottrarsi al dominio inglese. Venne liberata dal carcere dopo 243 giorni di prigionia, e poco tempo dopo il Paese ottenne l’indipendenza.

L’ascesa politica

Dopo la morte di suo padre nel 1964, Gandhi era la favorita per succedergli. Questa però decise di rifiutare, e al suo posto venne eletto Lal Bahadur Shastri, che morì due anni dopo. In quel lasso di tempo la donna aveva cambiato il proprio punto di vista, e si era resa conto del suo potenziale come leader. Il 24 gennaio 1966 firmò come Primo ministro d’India.

I primi tempi al potere non furono affatto facili: il Paese riversava in un grave stato di crisi economica, in più era anche travolto da siccità e carestia. Gandhi nel 1967 applicò delle riforme da lei chiamate “la rivoluzione verde”, che in pochissimo tempo risollevarono l’India. Il popolo la acclamava e la adorava, e nel 1971 ottenne un enorme successo elettorale, e divenne Primo ministro per un secondo mandato.

Nello stesso anno si ritrovò a dover affrontare la terza guerra indo-pakistana, che recò oltre tre milioni di vittime. Assunse lei stessa il comando delle azioni militari, dimostrando la sua forza e il suo coraggio. L’anno successivo la carestia tornò a farsi sentire, e il disordine interno crebbe. Gandhi riuscì a sopprimere gli scioperi, ma perse gran parte dei consensi. L’India diventò a tutti gli effetti una dittatura sotto il suo comando.

La morte di Indira Gandhi

Verso l’inizio degli anni Ottanta l’India riversava in un totale stato di caos. Ciò contribuì a far sì che nel paese si diffondesse un movimento di guerriglia religiosa sikh che pretendeva l’indipendenza dello stato del Punjab. Si impadronirono del sacro Tempio d’Oro di Amristar, e lo resero il quartier generale delle loro carneficine. Gandhi diede così inizio all’operazione Blue Star per espugnare il luogo di culto assediato. Morirono 600 militanti, ma oltre un migliaio di pellegrini innocenti.

La mattina del 31 ottobre 1984 Indira Gandhi fu colpita da oltre trenta proiettili provenienti dalle sue guardie del corpo, le quali, appartenendo alla religione sikh, vollero vendicare quanto accaduto con l’operazione Blue Star. La leader indiana morì sul colpo, restando una figura molto discussa dal punto di vista politico, ma una grande icona per il femminismo.

Ludovica Nolfi

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