Loujain al-Hathloul si trova in carcere da 900 giorni. La sua colpa? Aver guidato un’auto. È ciò che è successo a una giovane attivista per essersi ribellata alle regole saudite ed aver cercato di sostenere il cambiamento. È il caso di una vera e propria donna “brave”.

Loujain al-Hathloul-Photo credits: Daily Muslim

L’Arabia Saudita ha trasferito il processo contro l’attivista per i diritti delle donne Loujain al-Hathloul in un tribunale per crimini legati al terrorismo, secondo la sua famiglia. Il 25 novembre, un giudice di un tribunale ordinario ha deciso di trasmettere gli atti processuali al Tribunale penale speciale.

La giovane attivista è entrata in tribunale limitandosi a leggere la propria auto-difesa, con un filo di voce e il corpo tremante. È apparsa stanca, provata, complice anche lo sciopero della fame che porta avanti dallo scorso ottobre.

Il sostegno di Lynn Maalouf

Alla notizia che Loujain al-Hathloul sarebbe andata a processo il 25 Novembre 2020, la direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord, Lynn Maalouf, ha esplicitato il proprio sostegno. “Sotto gli sguardi del mondo in occasione del vertice del G8 dello scorso fine-settimana, le autorità saudite avrebbero potuto decidere di porre fine all’incubo che da oltre due anni sta subendo la coraggiosa difensora dei diritti umani Loujain al-Hathloul. Invece, il suo caso è stato trasferito a un organo giudiziario il cui unico scopo è ridurre al silenzio i dissidenti mediante condanne a lunghe pene detentive emesse al termine di processi irregolari. Ecco un’altra prova che la narrativa ufficiale sulle riforme non è altro che una farsa”.

Loujain al-Hathloul dev’essere rilasciata immediatamente e senza condizioni e le accuse nei suoi confronti devono essere annullate. Chiediamo alle autorità saudite di assicurare che riceva cure da un medico di sua scelta e abbia adeguato accesso ai suoi avvocati e familiari”. Con queste parole la Maalouf ha terminato il proprio discorso.

Il sostegno delle donne-Photo credits: EL Mundo

L’ulteriore protesta di Loujain al-Hathloul

“Oggi, lunedì 26 ottobre 2020 alle 19:00 ora di Riyadh, mia sorella Loujain ha annunciato uno sciopero della fame”. Così inizia il tweet della sorella di Loujain al-Hathloul. Il motivo che si cela dietro questa estrema decisione è il fatto che da circa sei mesi è stata proibita a lei e a tutte le altre donne imprigionate, la possibilità di comunicare con i propri familiari. Le visite degli stessi, inoltre, sono state ridotte al minimo, ponendo come scusante l’emergenza Covid-19.

L’odissea per l’attivista è iniziata nel lontano maggio 2018. Si è resa protagonista della campagna per l’abolizione del divieto di guida per le donne e del sistema del guardiano maschile. Nonostante ora le donne possano guidare, l’attivista, insieme ad altre donne, si trova ancora in prigione. A riempire questa vicenda di ulteriore orrore, sono le costanti torture e i continui abusi che è costretta a subire.

Il supporto per le attiviste-Photo credits: Web

Le altre donne in difesa dei propri diritti

Con Loujain sono sotto processo Samar Badawi, Nassima al-Sada, Nouf Abdulaziz e Maya’a al-Zahrani, per aver alzato la loro voce in difesa dei diritti delle donne.

Nouf Abdulaziz è un’attivista, blogger e giornalista che è stata arrestata per aver sostenuto la battaglia contro il divieto di guidare nei confronti delle donne. Lo stesso è accaduto all’attivista Maya’a al-Zahrani, la quale aveva pubblicato un post in cui chiedeva che la Abdulaziz fosse fatta uscire di prigione. Nassima al-Sada oltre ad affiancare Loujain è da tempo in prima linea per i diritti civili e politici, i diritti delle donne e quelli della minoranza sciita della Provincia orientale dell’Arabia Saudita. Stessa sorte per Samar Badawi. La donna oltre a combattere per il divieto di guida imposto ha chiesto la scarcerazione di suo marito e suo fratello, entrambi difensori dei diritti umani.

Leggendo queste storie, sembra di immergersi in un mondo capovolto, utopico. Si tratta invece di una realtà che perdura ormai da tempo. Realtà in cui la sola parola “progresso” è lontana anni luce. La persistenza con cui queste donne si ribellano, consapevoli del fatto che tale ribellione sia un salto nel vuoto, è un connubio di aiuto e speranza che pervade l’animo non solo delle donne saudite, ma di tutte noi. Non bisogna infatti andare molto lontano per notare come i diritti delle donne siano posti in secondo piano ovunque. Si pensi alla Polonia, in cui le donne negli ultimi messi hanno lottato e stanno lottando per il loro diritto all’aborto, o l’Ungheria. L’Italia stessa, che registra un numero elevato di femminicidi, mostra come la strada da percorrere sia ancora molta. Allora bisogna prendere un po’ di “brave” di queste donne e raggiungere il traguardo della parità.

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