La figura femminile è spesso ricorrente nella poesia di Eugenio Montale. Tutte le donne letterarie di Montale sono considerate fautrici di potere salvifico; un’aura imperturbabile che il poeta accosta ad ogni donna apparsa nelle sue raccolte. Da Clizia, a Volpe, passando per Drusilla Tanzi: la figura femminile di Montale è emblema di salvezza, occasione di sfuggire alla negatività, occasione di ricordo.

Eugenio Montale, la figura femminile nella poesia come antidoto al malessere esistenziale

Eugenio Montale Figura Femminile
Credits: Quotidianodelsud

La figura femminile nella poesia di Eugenio Montale è una presenza costante in gran parte della produzione letteraria dell’autore. Le donne cantate da Montale sono tutte diverse per aspetto, carattere, funzione, ma tutte assurgono a una posizione fondamentale; ogni figura femminile è simbolo di potere salvifico, un rimedio contro il malessere esistenziale di cui, secondo il poeta, è permeata l’esistenza umana. Sono diverse le donne letterarie di Montale: i volti femminili che si susseguono nelle raccolte del poeta ligure sono ora sensuali, ora materne; e ancora giocose, ingenue, adesso in veste di donna-angelo.

Per il poeta della scuola genovese non esistono leggi immutabili e fisse che governano la vita degli uomini; proprio per questo il pensiero di Montale versa in una completa sfiducia verso ogni dottrina. Si è in attesa di un miracolo che riveli il senso della vita; a tal proposito, la figura femminile diventa, in questo caso, un simbolo salvifico da cui attendere possibilità di redimersi.

Le donne che popolano la letteratura di Montale sono diverse: esistono anche nomi minori rispetto alle Muse che hanno ispirato gran parte della produzione del poeta genovese: Esterina Rossi, Gerti Frankl, Liuba, Dora Markus, Maria Rosa Solari, amiche e conoscenze a cui il poeta dedica, nonostante la presenza fulminea all’interno della propria esistenza, dei versi. Infine, non meno importante, la presenza della governante Gina Tioss, che lo assiste fino al trapasso.

Anna degli Uberti, il tema del ricordo nell’Arletta de La casa dei doganieri

Nell’estate del 1920, Montale conosce a Monterosso l’ammiraglio Degli Uberti. Inizia, così, a frequentare la figlia Anna da lui chiamata Annetta o Arletta. Anna-Arletta diventerà una delle Muse ispiratrici della sua poesia; intorno alla figura di Anna Degli Uberti si sviluppa il tema dell’assenza e del ricordo, una poetica che appartiene alla prima fase della produzione di Montale. Il poeta tratteggia la presenza di Arletta-Anna nella poesia La casa dei doganieri, contenuta nella raccolta Le occasioni, 1939:

Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura.
e il calcolo dei dadi più non torna.

Arletta è la giovinezza: la presenza assente che risuona, nonostante il vuoto consunto da anni.  La casa dei doganieri diviene correlativo oggettivo dell’animo straziato di Montale; una casa disabitata, in cui l’abbandono è percepito dal poeta come un segnale, una concreta impossibilità di ritornare da quella ragazza amata in gioventù. Il mito della giovinezza perduta, accostato ad Anna Degli Uberti, ritorna anche nei versi de I ripostigli, poesia del 1977 contenuta in Quaderno di quattro anni. La rievocazione della ragazza avviene attraverso la ricerca di una fotografia da parte di Montale, unico oggetto che attesti quella presenza ormai svanita negli anni. L’immagine non si trova, ma restano i contorni del suo sguardo innocente e luminoso; una luce che solo le donne posseggono e a cui Montale si affida nell’incedere dell’esistenza. E poi una nube di capelli ormai sfocata che aleggia nella mente del poeta.

Irma Brandeis, la Clizia de Le Occasioni paragonata alla dantesca Beatrice

Nel 1933 Eugenio Montale conosce un’altra importante figura femminile che sarà fondamentale per il suo percorso letterario: Irma Brandeis, un’americana studiosa di italianistica. La loro relazione durerà fino al 1938, anno in cui saranno promulgate le Leggi Razziali. Irma, di origine ebraica, è costretta a fuggire e rientrare in America per via delle sue origini ebraiche. Il legame sentimentale e spirituale fra Irma e Eugenio è viscerale; diventa Musa ispiratrice e figura ricorrente nella seconda sezione della raccolta Le occasioni 1939, precisamente in Mottetti, e ne La bufera e altro1956. Irma è cantata da Montale come Clizia: personaggio della mitologia greca, figlia di Oceano e amante del Dio del Sole Apollo, presente anche nelle Metamorfosi di Ovidio.

Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi.

Irma-Clizia è la perfetta figura salvifica: il suo personaggio è permeato di valori positivi, gli unici in cui l’animo umano può sperare per salvarsi. Montale penserà a una fuga in America con l’amante tuttavia ostacolata da Drusilla Tanzi, la moglie del poeta. Ma Irma resterà non solo una donna amata e perduta per sempre, ma anche una novella donna-angelo di dantesca memoria; un appiglio, una guida luminosa nella vita travagliata del poeta.

La figura femminile nella poesia di Eugenio Montale: Maria Luisa Speziani, l’anti-Beatrice o la giovine ”Volpe”

Nei Madrigali Privati, contenuti nella sesta edizione di La bufera e altro, compare la figura femminile di Maria Luisa Speziani, poetessa italiana del ‘900. Conosciuta nel 1949, è la contrapposizione all’angelica Clizia-Irma. Montale stesso definiva la Speziani una donna ”terrestre”; era l’anti-Beatrice, una donna risoluta e concreta, sensuale, il cui soprannome era Volpe. Quella con la Speziani sarà una relazione passionale, fatta di fisicità, ben lontana dall’idea platonica dell’amore provato con Clizia. Volpe è l’istinto, la pulsione, l’Eros. Montale crea, adesso, una distinguo fra salvezza e peccato; ma nella stessa contrapposizione che sconvolge il poeta, unicamente, riesce a percepire nonostante tutto gli aspetti celestiali in una figura che è perdizione e salvezza.

Drusilla Tanzi, la Mosca nei versi di memorabile bellezza contenuti nella raccolta Satura

Mosca è la moglie di Montale, la donna che il poeta ha amato per tutta la vita. Drusilla Tanzi muore nel 1963; sarà nel 1971, dopo un lungo periodo di silenzio, che Montale pubblicherà Satura dedicando le prime due sezioni della raccolta , Xenia I e Xenia II, alla moglie scomparsa e affettuosamente chiamata Mosca, per via della sua grave miopia. La figura di Drusilla che Montale riporta è volutamente ordinaria; tratteggia un personaggio semplice, impegnata nelle sue azioni quotidiane. Non è una donna angelo, non è colei che canalizza la passionalità in pulsione.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

 Xenia II

Mosca è la saggezza: una donna che ha saputo reagire con fermezza alla sofferenza fisica, colei che rincorre gli sprazzi di vitalità che scheggiano la monotonia dell’esistenza. La sua fisicità di insetto miope è solo esteriore poiché Drusilla è capace di scorgere la vera essenza degli uomini, della società; è un punto fermo che, dopo la sua morte, Montale ricercherà negli oggetti e nelle consuetudini, persino nel brumoso fumo dei suoi sigari:

“La tua parola così stenta e imprudente
resta la sola di cui mi appago.
Mi è mutato l’accento, altro il colore.
Mi abituerò a sentirti o a decifrarti
nel ticchettio della telescrivente,
nel volubile fumo dei miei sigari di Brissago.”

da Xenia I, 8

La donna è quindi la protagonista indiretta e tacita della poetica di Montale, dove il poeta ne elogia ora la grazia, ora la saggezza, ora la sensualità; diverse accezioni per versi differenti, un lungo encomio alla figura femminile in quanto essenziale in ogni sua sfumatura.

Stella Grillo

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