Nell’ultima settimana di sondaggi politici (prima dello stop previsto dall’Agcom), il trend del paese si mantiene a grandi linee costante a quello delineato per quasi tutta la campagna elettorale: FdI mantiene un netto vantaggio su tutti gli altri partiti. Tra i dati rilevanti non possiamo che segnalare, al sud, il sorpasso del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte davanti al Partito Democratico di Enrico Letta. Il segretario perde alcuni punti percentuali (si ipotizza) proprio a favore del M5S. Nel mezzogiorno il Movimento registra infatti il 24,5% dei consensi, mentre al nord si aggira intorno al 9%. Date le previsioni odierne, il centrodestra tiene sotto scacco tutte le altre forze politiche del paese, aggirandosi sul 45% contro il 28% della sinistra e il 12% del M5S. Stabile il Terzo Polo al 7%. Intanto: le nuove strategie di comunicazione su TikTok funzionano davvero?
Sconforto e debacle, prospettive e crisi: il 25 è dietro l’angolo e il quadro politico è rimasto stabile: gli alti e i bassi della campagna elettorale li fanno i sondaggi politici
In questo periodo i più strenui lavoratori nel settore politico non sono, paradossalmente, i politici, ma i sondaggisti. Il sondaggio politico è diventato una costante nel nostro ragionare. Uno spostamento di percentuali, una barretta azzurra che supera (da tutta l’estate, in verità) la barretta rossa; la timida barretta gialla che cresce, insieme a quella fucsia. La politica vera, però, senza quei sondaggi, a volte sembra che non saprebbe che dire, di che parlare. E’ proprio Giuseppe Conte, sicuramente contento del successo riscosso nel Mezzogiorno, a dire di “non essere solo il partito del Sud”. Per riconquistarsi gli affetti perduti sopra Roma, chiaro. E’ la campagna elettorale che sbarca su tutti i social, soprattutto i più giovanili. Ma è sempre grazie ai sondaggi che si scopre che i giovani (che Berlusconi vuole conquistare con le barzellette, anche se un po’ stantie) sono i più disaffezionati alla politica.
Senza sondaggi (che confermano, lo ripetiamo, il quadro praticamente costante della campagna elettorale) gli scontri politici non potrebbero confezionarsi su audience particolari. Ma soprattutto non potrebbero regalarci dei momenti di trash tanto iconici che si dovrebbero studiare in ogni scuola di comunicazione: dal candidato leghista che riattizza la discriminazione raziale riprendendosi vicino a una donna rom e dicendo “il 25 settembre vota Lega, per non vederla mai più”, al candidato forzista che – novello Mastrota – propone il reddito per le casalinghe tra due attrici. I sondaggi dicono in sostanza a chi rivolgersi, in quali bacini elettorali buttare l’amo per pescare più consensi possibili. Però, sostanzialmente, a confrontare tutti i sondaggi, il quadro è sempre lo stesso. Se qualcosa fa “cringe”, probabilmente non è stata confezionata per te.
Nuove strategie per quadri immutati?
Se non si contano i grandi scostamenti di coalizione e partito (su tutti, Calenda nel Terzo Polo), lo scenario è rimasto immutato da luglio, soprattutto a livello di proiezioni. Escludendo le piccole oscillazioni, quello che ci si offre è – come sempre – un teatro dell’assurdo. Però, nel sogno febbricitante che è il nostro Paese, conquista a poco a poco punti percentuali che non faranno grande differenza il 25 settembre, ma potrebbero costruire, se non un elettorato fedele, almeno una solida base di follower su TikTok. Oltre a Berlusconi, anche Calenda e Renzi sbarcano sul social dell’estemporaneo con un piano di illustrazione del programma passo-passo, ma senza le barzellette del Cavaliere. Sta a voi decidere se questo sia un pro o un contro.
Giorgia Meloni è però la protagonista di questa campagna elettorale, c’è poco da dire. Un amore tutto italiano, e materno, e cristiano che durerà poco, stando a un osservatore internazionale. Si è mostrata sotto profili molteplici in questa campagna, dal ritrovamento di quel video in cui giovanissima afferma che Mussolini, alla fine, non sia così brutto come lo dipingono, a quello in cui, interrogata, si trasforma in atlantista zelante filo-ucraina. Lo sconforto però sembra aver raggiunto il segretario PD Letta. Abbastanza deluso dagli scissionismi della campagna e i particolarismi che impediscono una vera coesione contro una destra che potrebbe avere “fino al 70% dei seggi”. Il richiamo contro il pericolo di un governo con quella maggioranza non trova però ascolto in Calenda, a favore anche di un campo larghissimo con PD e Meloni. Il terrore “destro”, a quanto pare, non funziona più.
Alberto Alessi
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