Il panorama dal punto più alto della vetta è mozzafiato, ma guardare giù è pericoloso: le vertigini ci assalgono ed è alto il rischio di cadere, e se succede la discesa verso il basso sarà repentina, e il tonfo sull’asfalto micidiale e implacabile, lasciando di ciò che è stato di noi soltanto minuscoli frammenti. Potrebbe riassumersi così Blonde, il film di Netflix tratto dal romanzo omonimo di Joyce Carol Oates che racconta, in modo romanzato ma non meno crudo, la storia di Marilyn Monroe, che avrebbe soltanto voluto essere Norma Jean Baker.

Blonde: Ana De Armas verso l’Oscar che Marilyn Monroe non vinse mai

Ana De Armas ha il difficilissimo compito di interpretare il più grande simbolo della Golden Age hollywoodiana, ma riesce benissimo nell’impresa che potrebbe garantirle facilmente il Premio Oscar come Miglior attrice protagonista. Nel ruolo che ricopre, e nell’eredità che inevitabilmente si trova ad assumere, l’attrice fa rivivere non solo la bellezza e lo sfarzo di Marilyn Monroe, ma soprattutto tutte le fragilità di Norma Jean Baker.

La regia di Andrew Dominik si contraddistingue dall’apparente mancanza di linearità e concatenazione degli eventi: sta allo spettatore riuscire a mettere insieme i pezzi del puzzle della vorticosa vita dell’attrice e della complicatissima interiorità della donna. Alla base di tutto il film c’è infatti l’assenza di un vero amore umano e la sua continua e instancabile ricerca, che tuttavia portò Marilyn a bruciare velocemente e spegnersi come una candela. E proprio come la fiamma gioca con la luce e proietta ombre sempre diverse sulla parete, anche l’illuminazione e il montaggio del film fanno lo stesso per raccontare la tragica vita dell’attrice, e la sua dolcissima morte.

Il modo in cui infatti l’ultimo giorno di Marilyn è stato messo in scena è degno della penna che Dino Buzzati utilizzò per scrivere All’alba; la dolcezza e l’ingenuità che irradiavano da quel corpo tanto desiderato dagli altri e tanto odiato dalla stessa attrice sono le stesse che ci ha tramandato Truman Capote nelle pagine in cui raccontava gli aspetti più umani e sconosciuti della diva; la spirale di disperazione è degna invece di David Lynch quando raccontava le emozioni di Laura Palmer.

Blonde è un film che parla al cinema e di cinema, e soprattutto di quelle creature che lo abitano che, prima di diventare stelle, sono sempre esseri umani.

Chiara Cozzi

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Ph: RedCapes