L’anziana ottantenne, Gohar Eshghi, fa un gesto rivoluzionario. Si toglie l’hijab, velo che portava sin da quando era bambina, mentre tiene fra le braccia la foto del figlio Sattar Beheshti, blogger iraniano ucciso per le sue critiche politiche e sociali. La donna spiega che «con il pretesto della religione stanno uccidendo le persone». Proprio davanti alla telecamera, fa questo gesto, invitando tutti a fare altrettanto. Scendere in strada e protestare contro gli abusi.
Gohar ha incominciato a cercare giustizia a seguito della morte del figlio. La donna è analfabeta e ha trascorso la maggior parte della sua vita a fare la casalinga. Simbolo della lotta contro l’ingiustizia, coinvolgendo i vari media, ha denunciato i soprusi subiti dal figlio. Si è messa in contatto con altre madri alle quali sono stati uccisi i figli per le loro attività politiche. Ha offerto loro la sua comprensione e solidarietà. Ha ospitato nella sua piccola casa attivisti e dissidenti.
La morte del figlio Sattar
Torturato e ucciso nel 2012 mentre era detenuto. Sattar aveva 35 anni, nato nel 1977, ed era stato arrestato una settimana prima. Faceva l’operaio edile e aveva un blog. Con un linguaggio semplice, con il nome di «Sattar il libero», occasionalmente si lamentava della situazione politica e sociale dell’Iran. Il suo ultimo post risale al 29 ottobre 2012. Raccontava di essere stato minacciato: «Ieri mi hanno avvertito: “Dì a tua madre di preparare i vestiti da lutto, perché non tieni la bocca chiusa”». Il giovane aveva risposto: “Non ho fatto nulla per cui dovrei tenerla chiusa”. Avevano replicato ancora: “Facciamo quello che vogliamo, quindi stai zitto e non pubblicizzarlo. Altrimenti ti zittiamo senza lasciare traccia”.
La minaccia si è concretizzata il giorno dopo, il 30 ottobre 2012. Sattar è stato arrestato dalla polizia informatica. Sattar è morto il 3 novembre successivo, a seguito di torture durante la detenzione. Secondo i giudici iraniani, la morte di Sattar non è stato un omicidio volontario. Chi lo ha interrogato in carcere, è stato quindi condannato a soli tre anni di carcere. L’accaduto ha dell’assurdo. Condanne superiori a dieci anni per attività pacifiche e civili di protesta, a giornalisti, studenti e attivisti per i diritti umani.
La rivolta dell’hijab e gli hijab nel mondo
Hijab calpestati o addirittura bruciati. Questo è quanto sta accadendo in Iran. Strettamente collegato all’obbligatorietà locale di uno dei veli islamici nel dress code di una donna. Indumento al centro della tragica scomparsa di Mahsa Amini, la cui morte è piena di circostanze ancora da chiarire. Lo hijab non è il velo islamico, ma uno dei tanti veli. Gli hijab sono composti da una cuffia che raccoglie i capelli, tenendoli stretti, e un velo che può essere legato al collo o al mento, oppure lasciato libero sul corpo. “Rendere invisibile, nascondere“, è questo il suo significato. In realtà esistono diverse tipologie di veli. Tra i più noti, il burqa, che ricopre interamente la donna ed è diffuso principalmente in Afghanistan. Nel Corano ne viene menzionata l’obbligatorietà.
In Iran, in Arabia Saudita, in Pakistan e in Afghanistan, vige l’obbligo dell’hijab. Alcuni paesi nel mondo hanno preso posizioni dure nei confronti dei vari veli presentanti finora. L’Austria nel 2017, e la Danimarca nel 2018, hanno bandito il velo integrale. Il Belgio, la Francia e la Bulgaria, vietano di indossarlo in pubblico.
Iran: le donne per protesta si tagliano i capelli
La morte della giovane Masha Amini, ha dato il via a numerose proteste in Iran. Uno dei simboli di queste settimane è sicuramente il gesto di tagliarsi i capelli. Numerosi video pubblicati in rete infatti mostrano donne iraniane mentre tagliano con delle forbici una cioccia della propria chioma. Gesto emulato anche da altre persone nei paesi occidentali.
L’atto di tagliarsi i capelli rispecchia una vecchia cerimonia locale che significa “lutto“. A fronte della dura e violenta risposta del regime contro i manifestanti, questa iniziativa è diventata fondamentale. Il regime sta cercando in ogni modo di limitare i cortei, con la repressione e con forti limitazioni di accesso a Internet. La questione iraniana è uscita dai propri confini, grazie all’immediatezza di tale gesto, arrivando in tutto il mondo. Tagliarsi la propria chioma è diventato un richiamo ai diritti e alla libertà che il popolo iraniano sta chiedendo a gran voce da diversi anni, e che con la drammatica vicenda di Amini è riemersa mediaticamente. Questo gesto è virale sui sociale. #HairForFreedom è l’hashtag che rappresenta tutti i video di donne che bruciano il proprio hijab.
Mariapaola Trombetta
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