Fra i più noti lirici greci, Alceo è noto con l’appellativo ”poeta del vino”. Nel nuovo appuntamento della rubrica ClassicaMente, il Frammento 347 V del poeta di Militene dedicato alla stagione estiva e i parallelismi con un altro famoso poeta antico, Esiodo.
Alceo, la poesia e la descrizione della stagione estiva nell’antica Grecia
L’estate è da sempre, nell’immaginario comune, foriera di leggerezza e gioia. Alceo, nella poesia lirica sulla stagione estiva, ne sottolinea invece gli aspetti più evidenti; la calura che si abbatte su uomini e donne in egual modo, le conseguenze, le peculiarità della natura in questo periodo dell’anno:
“Gònfiati di vino: già l’astro
che segna l’estate dal giro
celeste ritorna,
tutto è arso di sete,
e l’aria fumica per la calura.
Acuta tra le foglie degli alberi
la dolce cicala di sotto le ali
fitto vibra il suo canto, quando
il sole a picco sgretola la terra.
Solo il cardo è in fiore:
le femmine hanno avido il sesso,
i maschi poco vigore, ora che Sirio
il capo dissecca e le ginocchia.“
Nelle Opere e i giorni di Esiodo si ha una prima descrizione dell’estate in letteratura classica; tuttavia il poeta greco, pur donando informazioni sulla stagione della calura, sottolinea principalmente il ruolo dell’agricoltore e il lavoro di quest’ultimo, che svolge rispettando i ritmi delle stagioni. Altra menzione è sulla Natura: la calura che si abbatte sul mezzadro suscita in lui un desiderio di ristoro. La poesia di Alceo, ripresa qualche secolo dopo, è più immediata. Nel Frammento del poeta di Militene, trovare sollievo dalla rovente aria estiva non è più una brama ma un obbligo. Le descrizioni di Alceo sono elementi e immagini usuali della stagione calda: l’arsura, l’aria fumica in virtù delle temperature più alte, le cicale, il cardo fiorito. Una delineazione ambientale similare a quella di Esiodo. La canicola e l’arsura hanno gli stessi effetti sugli uomini e sulle donne sia nella poesia di Alceo che in quella di Esiodo. L’aria ardente arreca affanno e fatica rendendo le donne più appassionate e gli uomini poco vigorosi. Il caldo, dunque, pungola gli istinti libidinosi delle donne mentre rende soggiogati quelli degli uomini.
L’estate greca, i rimedi contro la calura, e il legame fra la Natura e i Greci
Sia nella poesia di Alceo che in quella di Esiodo, l’intento è quello di fotografare attraverso i versi la consuetudine di un’estate greca. L’afa avvolge ogni cosa, tutto è arso: ciò che differisce sono le strategie contro il calore. Alceo trova la sua soluzione nel vino: la bevanda cara al poeta definita ”oblio degli affanni”. Il vino ha una correlazione altamente simbolica: nell’antica Grecia gli si dava una valenza sociologica, poiché era considerato come un prodigio, un dono che la Natura offriva agli uomini; la metamorfosi di un frutto che si trasforma in un prezioso liquido magico che inebria. Era, quindi, anche il rimedio contro la canicola estiva. Già al principio della poesia esorta il suo lettore: ingurgita del vino, perché l’astro che in cielo preannuncia l’estate è ormai tornato. In Esiodo, invece, il vino è un elemento come un altro che può donare ristoro in una cornice tipicamente agreste e in un’ambientazione bucolica.
”Magari ci fossero una roccia ombrosa e vino di Biblo, e una focaccia fatta di latte e latte di capre che ormai non allattano più”.
Esiodo inserisce un pasto frugale, l’ombra di una roccia e il vino di Biblo per trovare frescura. Un rimedio come tanti per ristorare il corpo dal caldo; la bevande menzionata da Esiodo, è differente da quella di Alceo perché è una miscela composto da acqua e vino, chiaramente più dissetante e qualificata per la stagione torrida e riarsa. Nonostante similitudini e differenze dei due componimenti, risulta palese e univoco un elemento: il legame viscerale dei Greci con gli elementi naturali, le stagioni e gli ambienti agresti; un tòpos ricorrente che descrive una realtà esterna e oggettiva, e un’interiorità individuale, raggiungendo un equilibrio poetico e stilistico fra toni intimistici e tangibilità evidente.
Stella Grillo
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