Estate in letteratura classica: Esiodo, Teocrito e Virgilio

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Di Stella Grillo

Estate in letteratura classica:questo nuovo appuntamento della rubrica ClassicaMente, si propone di celebrare le atmosfere estive descritte nella letteratura antica. Un viaggio fra i paesaggi di Esiodo, Virgilio e Teocrito.

Estate in letteratura: in principio fu Esiodo

Una stagione che ha ispirato poeti e scrittori di ogni tempo: in letteratura moderna, molti sono i nomi di autori famosi che si sono lasciati coinvolgere dalla dolcezza della bella stagione, ambientando le loro narrazioni nel periodo più luminoso dell’anno. L’etimologia della parola Estate deriva dal latino: dal verbo aedere, bruciare; semanticamente il termine designa la stagione calda ed il calore che deriva da essa. Il primo a descrivere tale stagione e la sua imponenza rigogliosa, fu il poeta greco Esiodo.

Estate in letteratura classica - Photo Credits: Thomas Eakins, Arcadia, circa 1883
Estate in letteratura classica – Photo Credits: Thomas Eakins, Arcadia, circa 1883

Uno dei suoi scritti, Le Opere e giorni, fornisce una dettagliata descrizione della vita contadina del tempo; all’interno della raccolta, una delle più famose poesie antiche sulla stagione estiva. Esiodo prima di allora si era occupato di scrivere testi eruditi e dal tono mitologico. Tuttavia, in seguito ad una vicenda personale, iniziò a produrre contenuti narrativi dal carattere prettamente riflessivo. Le Opere e i giorni, infatti, nasce in seguito ad una ingiustizia subita dalla divisione dell’eredità paterna che lo portò ad una disputa con il fratello.

Esiodo e le atmosfere estive

Esiodo con questo breve componimento, va a descrivere una classica giornata irradiata dalla calura estiva: la pelle inaridita, il dissetarsi da una limpida e chiara fonte, il fiorire del cardo ed il tipico canto estivo delle cicale. Il tutto, pervaso da una sottile ironia come attesta la porzione centrale del componimento e l’ultimo verso.

Quando il cardo fiorisce, e la cicala monotona
si perde nelle foglie spandendo il suo poema morbido e corposo,
dalle ali, nelle giornate d’estate sonnolenta,
allora le capre sono in carne ed è impeccabile il vino,
sensualissime le donne, i maschi senza forza
perchè la calura secca muscoli e cervello,
la pelle inaridita dal bruciore. Che avvenenza, quindi,
l’ombra di una grotta, il vino delle isole,
la focaccia con la panna, il latte della libera capretta,
la carne nostrale di vitella non coperta,

di agnello appena nato, e bere vino acceso scintillante,
seduti in ombra, con il cuore compiaciuto del mangiare,
il volto esposto al venticello vivo.
E dissetarsi da una fonte chiara, azzurra, sempre fresca
tre porzioni d’acqua, la quarta di vinello!

Estate in letteratura, la rivisitazione del poeta lirico Alceo

 Alceo poeta lirico del VII sec. a. C., riprende, a grandi linee, la poesia di Esiodo mettendo in evidenza il tema simposiaco, predominante nei testi del poeta del vino:

La stagione è opprimente, e tutte le cose hanno sete per la calura, e dalle foglie dolce risuona la cicala, e fiorisce il cardo

Anche qui la descrizione si volge ai tratti concreti tipici della stagione estiva: la calura, la fioritura del cardo, il suono della cicala, tipica melodia delle ore estive. Nell’antica Grecia il suono emanato dalla cicala era sinonimo di poesia, canto, melodia. La melodia prodotta dalle cicale è citata anche in Platone: nel Fedro, durante un’immagine tipicamente bucolica. Socrate seduto su di un prato verde lungo le rive del fiume Ilisso, ode la melodia proveniente dalle cicale.

Le Talisie di Teocrito, l’inventore della poesia bucolica

Teocrito, il poeta inventore della poesia agreste e bucolica. Fra le sue produzioni maggiori si ricordano gli Idilli e gli Epigrammi. Amante della natura, i suoi testi si ambientano in contesti tipicamente bucolici descrivendo scene di vita quotidiana. L’Idillio VII è uno dei più noti, le Talisie. Alcuni versi descrivono minuziosamente la vita campestre investita dal sopraggiungere dell’estate:

”Con forza si scuoteva un fitto bosco d’olmi e pioppi e lì accanto zampillava, gorgogliando dall’antro delle Ninfe, la fonte sacra e dagli ombrosi rami si affannavano a urlare le cicale annerite dal sole”.

Il topos delle cicale presente in Teocrito e nelle Georgiche di Virgilio


Teocrito nelle sue poesie mescolava un realismo fatto di sfumature quotidiane, pene d’amore e fluire del tempo, a dettagliate immagini descrittive della vita dei campi:

”E volavano in giro le api d’oro presso le fonti. Tutto aveva odore di pingue estate, odore di raccolto.’

Lo scenario bucolico nei componimenti poetici e, la conseguente ispirazione di Virgilio nelle Georgiche e nelle Bucoliche, si deve proprio a Teocrito. Mentre, anni dopo, si andò a sconfinare nell’artificiosità: ciò accadde nell’Arcadia settecentesca dove si trasformò l’ambiente pastorale in un contesto popolato da persone dabbene, stravolgendone l’intero significato. In un passo delle Georgiche, così come in precedenza in Esiodo e Teocrito, appare nuovamente l’immagine delle cicale, simbolo indiscusso dell’aura che avvolge i mesi estivi. Virgilio descrive l’irrompere delle querule cicale attraverso gli arbusti: è questa l’ora in cui le greggi si avviano verso gli stagni per bere. In una seconda ecloga, il protagonista è invece un uomo che insegue la donna amata sotto il sole cocente: a far da sfondo al clima e alla calura propria dei luminosi mesi, ancora, il canto delle roche cicale.