“Amici Miei”, dietro le risate

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Di Redazione Metropolitan

Amici Miei“, quando si parla di cinema italiano, è forse uno dei pochissimi esempi di film che ha saputo mettere d’accordo proprio tutti. Girato tra il 1973 e il 1974 sotto l’egida di Pietro Germi, a causa della sua sopraggiunta morte, fu terminato da Mario Monicelli che lo portò sul grande schermo nel 1975. Uno dei film simbolo della commedia all’italiana, denso di significati, connotato da un crudo realismo celato dietro alla goliardia. Un capolavoro imprescindibile per le nostre videoteche.

“Come se fosse Antani…”

La storia, raccontata da Giorgio Perozzi (Philippe Noiret) è quella di cinque uomini fiorentini di mezza età che passano le loro giornate all’insegna di scherzi, goliardate e delle famose “zingarate” (uscite fuori porta senza una vera meta). Oltre al Perozzi, ci sono il conte Raffaello “Lello” Mascetti (Ugo Tognazzi), Rambaldo Melandri (Gastone Moschin), Guido Necchi (Duilio Del Prete) e il medico Alfeo Sassaroli (Adolfo Celi), quest’ultimo conosciuto in ospedale proprio dopo una zingarata. Lo spirito goliardico con cui i cinque passano le loro giornate, appare sin da subito come un tentativo di mascherare delle situazioni personali non troppo esaltanti.

“Supercazzola prematurata con scappellamento a destra…”

Tutti e cinque sono caratterizzati da una costante insoddisfazione, un senso di inconcludenza che viene loro rinfacciato da chi hanno accanto, in particolare la moglie del Perozzi. Quest’ultimo, infatti, dopo l’ennesima goliardata, è colto da un infarto improvviso, con la donna che, sul suo letto di morte, ripete che “non è morto nessuno”. Durante il funerale, incrociato per strada il Righi (Bernard Blier), un individuo non troppo acuto con il quale essi si erano spacciati per membri della mafia corsa, lo ingannano un’ultima volta affermando che hanno dovuto eliminare il Perozzi perché era un informatore. Il film si conclude con gli sghignazzi misti a lacrime dei quattro.

Amici miei
L’indimenticabile scena della stazione
Photo credit: WEB

“Addio amici miei, io me ne vado”

“Amici Miei”, nell’intento di Germi, trovava il suo senso sin dal titolo. Il regista, già da tempo malato, era giunto a una riflessione sulla caducità della vita nell’ambito del quotidiano e, tramite il titolo, voleva porgere un estremo saluto: “Addio amici miei, io me ne vado” era il significato della pellicola. Il film, di per sé, era un suo parto, pertanto, per omaggiare l’autore originale, Monicelli fece inserire “Un film di Pietro Germi, regia di Mario Monicelli” nei titoli di testa.

Amici miei
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“Amici Miei” e la commedia all’italiana

La stagione della commedia all’italiana, cominciata idealmente nel 1962 con Il Sorpasso” (di cui discutiamo qui), aveva riscritto completamente quello che un tempo doveva essere un genere disimpegnato e divertito. I personaggi di Monicelli, seguendo spiritualmente tutti i film ascrivibili al genere, non sono macchiette comiche, bensì individui della classe media, sottomessi a una realtà ben poco esaltante. Antieroi passivi, insoddisfatti e lontani da una qualsiasi forma di idealismo. Sebbene le celebri scene della stazione o della supercazzola del Mascetti siano autentiche perle di comicità, sin dall’inizio è presente un velo di malinconia che lascia presagire un finale che smorzerà ogni forma di risata.

Amici miei
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“Era un informatore. Abbiamo dovuto eliminarlo”

Il finale di “Amici Miei”, in tal senso, è forse una delle scene meglio scritte di tutta la storia del nostro cinema – e non solo -. Sghignazzi strozzati, risate miste a lacrime, durante un funerale con una manciata di persone che aggiunge ulteriore crudezza alla sorte del Perozzi. Il Melandri, davanti alla salma dell’amico, auspicava “Come vorrei che gli venisse un funeralone da fargli pigliare un colpo a quei due”, riferito ovviamente alla moglie e al figlio del Perozzi; tuttavia, all’uscita della chiesa, le persone che presenziano sono poco più che una decina.

Infine, l’ultima e indimenticabile battuta del film: “Era un informatore, abbiamo dovuto eliminarlo“. Lo spettatore ride e piange con i personaggi, ne diventa parte concreta. Se prima era riuscito a entrare in empatia con la combriccola di protagonisti, adesso ne diviene membro. Lo spettatore finisce per ritrovarsi anch’egli in mezzo ai presenti, ha la stessa reazione dei protagonisti. Un finale aperto, senza una chiosa ideale, proprio com’è la vita vera: un continuo di giorni, di situazioni, di momenti, tutti privi di un vero e proprio scopo.

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“E’ fantasia, intuizione, precisione e velocità d’esecuzione”

Una critica alla pochezza della società medio borghese, immobile e sottomessa all’inerzia di un mondo che va avanti senza curarsi di lei. “Amici Miei” è un film che riassume appieno l’italiano medio dal Dopoguerra agli anni Settanta. Forse ancor più de “Il Sorpasso”, si pone come vero manifesto della commedia all’italiana. Un film imprescindibile, capace di generare fenomeni di culto e ripetute citazioni ormai parte della cultura popolare italiana. Capace, altresì, di essere apprezzato sia presso il pubblico che presso la critica. L’epopea dell’uomo medio alla ricerca del nulla. “E’ proprio importante essere qualcuno?”.

MANUEL DI MAGGIO

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