Siamo a New York City, nel mezzo degli anni 60′. In uno studio al quinto piano del 231 East 47th Street, a Midtown Manhattan, Andy Warhol accende la sua videocamera. L’inquadratura è statica, ferma e diretta a ritrarre le movenze, i dettagli e le espressioni di Lou Reed. Compare una Coca Cola, famosissima bibita gasata, che in passato si diceva potesse anche curare l’emicrania. Nella sequenza di immagini, il musicista guarda fisso in camera indossando occhiali da sole, poi la bottiglietta di vetro e poi ancora l’obiettivo. Intanto si gode qualche generoso sorso alla bevanda.
Questa è una delle tipiche scene che potevano accadere nella Factory di Andy Warhol, artista simbolo della pop art, riconosciuto in tutto il mondo per la sua stravaganza, ma soprattutto per il suo intendere l’arte. Ed è interessante sapere come Andy Warhol ha navigato l’onda di quegli anni sessanta, dove appunto l’arte veniva a contatto con il concetto di serialità, di industria.

Lou Reed e Andy Warhol
Insomma, con Andy Warhol abbiamo scoperto che anche un quadro, una foto, un videoclip oppure un’opera d’arte può benissimo andare a braccetto con il business, con il mercato, con il dollaro. Nella Factory, si potevano incontrare le menti dei personaggi più anticonformisti, per dirla in parole povere, di tutti quegli artisti che in qualche modo hanno fatto breccia nel cuore di tutti per il loro spirito libero. Tra di loro, si aggirava anche Lou Reed. Musicista, cantautore e poeta americano, considerato uno dei padri, della cultura della musica rock. Combaciava parecchio con quell’ambiente e di fatti Warhol non se lo lasciò sfuggire includendolo nella sua cerchia di artisti con la quale creare qualcosa di intramontabile e scioccare il mondo intero.
Il prodotto di questa fantastica collaborazione è uno Screen Test in bianco e nero. Per un paio d’anni, tra il ’64 e il ’66, Andy Warhol ha registrato circa cinquecento ritratti video delle persone che gli stavano intorno. Chiaramente erano ritratti girati a modo suo: metteva una pellicola da tre minuti nella videocamera e lasciava che le cose succedessero. I video di Andy erano muti e mandati a rallentatore con 16 fotogrammi al secondo.
Nel caso di Lou Reed, appunto, si possono vedere i fotogrammi scorrere, il video fiorire in una rappresentazione abbastanza strana. Non è “normale” infatti vedere tre minuti di videoclip, concentrati solo sul gesto di avvicinare alla bocca la bottiglietta in vetro targata Coca Cola, fare qualche sorso e poi guardare di nuovo in camera. Non è un però un Screen test muto, infatti possiamo sentire il brano “I’m Not a Young Man Anymore”, traccia firmata Velvet Underground, 1966. Altri celebri frequentatori della Factory.
Coca Cola nel concetto di serialità e industria
Coca Cola è la maestra della pubblicità, sopratutto negli anni sessanta, dove l’industria in America, ma anche in Europa, si fa via via sempre più importante. La pubblicità è un potente veicolo e, nel caso Warhol – Reed – Coca Cola, trova un suo spazio ideale per manifestare innanzitutto la sua identità. E poi, quella bottiglietta di vetro, è stata bevuta da uno dei personaggi più influenti dell’epoca. Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio spot pubblicitario: Andy Warhol regista, Lou Reed super testimonial e la Coca Cola prodotto da pubblicizzare alle masse.

New York capitale del Mondo
Come sfondo, c’è quella New York “capitale del mondo” dopo la Seconda Guerra Mondiale, la città di Wall Street che guidava la crescita economica di tutta l’America. C’è una metropoli dettata da diverse visioni di urbanistica. Troviamo in corso un cambiamento sociale e di costumi gigantesco, la moda è la padrona, si lotta per i diritti degli omosessuali e come molte grandi città americane, a partire dagli anni ’60 anche New York cominciò ad essere interessata da rivolte a sfondo razziale, guerre fra band, tanto da guadagnarsi la fama di città violenta, ostaggio del crimine e senza futuro.
Esiste una città che è un modo di essere, uno stile, una cultura. E Wahrol lo sa. Sprigiona dal suo talento una mentalità che ha fatto storia nel corso degli anni, arrivando fino a noi. E il bello è che tutte le sue opere sono di una contemporaneità e attualità incredibile. Sono arrivate fino a noi mostrandosi sempre moderne e in tema con l’andamento della società.

Tornando alla Coca Cola, possiamo certamente confermare che, così come le opere di Warhol, è sempre stato un marchio al passo con i tempi. Quindi, rispondendovi alla domanda del titolo di questo articolo: Cosa c’entrano Lou Reed, Andy Warhol e una Coca Cola? C’entrano perché sono tre elementi che hanno un filo rosso in comune, cioè rappresentano categorie, storie e prodotti legati da quei tempi. Rappresentano l’immaginario collettivo, quello dello show business, insomma i riflettori! E il risultato è lo spot (forse volutamente pensato così) più cool della Coca Cola.
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