«Ho dei miei antenati Galli l’occhio blu slavato, il cervello stretto e la goffaggine nella lotta.». Non amava particolarmente il suo aspetto, Arthur Rimbaud, ma aveva le idee chiarissime circa il suo ruolo nella società e, seppur giovanissimo, intendeva fare tutto il necessario per portare a termine la sua missione terrena.
Nato nella regione del Grand Est, che accorpa Alsazia, Champagne-Ardenne e Lorena, Jean Nicolas Arthur Rimbaud crebbe in una famiglia spaccata a metà. Quando era molto piccolo, il padre abbandonò figli e moglie, che da allora iniziò a firmarsi «la vedova Rimbaud». Era una donna rigida e severa, che vietava ai suoi bambini di giocare in strada e di avere un’infanzia spensierata, dando loro un’educazione paramilitare. Arthur, pur non amando la scuola, eccelleva negli studi. eppure, il seme della ribellione iniziò presto a germogliare in lui; il preside del suo collegio, disse del ragazzo: «In questa testa non germina niente di ordinario. Diventerà il genio del Male o il genio del Bene».
Arthur Rimbaud: la “Lettera del Veggente”
Ben presto, iniziarono le sue prime fughe; pochi spicci in tasca e un forte desiderio di scoprire il mondo, prese a vagabondare per la Francia. Queste esperienze contribuirono senza alcun dubbio alla composizione della cosiddetta Lettre du Voyant, la Lettera del Veggente. Destinatario della missiva era Georges Izambard, professore di retorica del collegio frequentato dal giovane, di cui divenne mentore e confidente. L’epistola fu inviata il 15 maggio del 1871, ed è considerabile come il primo vero manifesto dell’avanguardia letteraria e della poesia moderna.
Un Rimbaud appena sedicenne si ricollega, in qualche modo, alla visione illuminista, che considerava i rimatori come dei profeti, venuti al mondo per guidare gli uomini. Per lui, il poeta deve essere un “veggente” e, per diventarlo, deve coltivare sistematicamente le sensazioni estreme, la “sregolatezza di tutti i sensi”, al fine di raggiungere l’Ignoto e creare del “nuovo”.
«Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, – e il sommo Sapiente! – Poiché giunge all’ignoto! Avendo coltivato la sua anima, già ricca, più di ogni altro! Egli giunge all’ignoto, e anche se, sconvolto, dovesse finire per perdere l’intelligenza delle sue visioni, le avrebbe pur sempre viste!».
L’alba di una nuova era
Arrivato all’ignoto, dunque, il poeta potrebbe anche impazzire, ma non importa: altri «cominceranno dagli orizzonti» dove lui è caduto. La lingua «dell’anima per l’anima», che caratterizza le sue visioni, diverrà un idioma universale, che riassumerà «profumi, suoni, colori, pensiero che aggancia e tira il pensiero». Sarà, in un certo senso, l’avvento di una nuova era. A questo processo potranno prender parte anche le donne, quando saranno libere: «Quando sarà spezzata l’infinita schiavitù della donna, quando vivrà per sé stessa e grazie a sé stessa, l’uomo – finora abominevole – le avrà dato il benservito, sarà poeta anche lei! La donna troverà l’ignoto!».
Tali teorie sviluppano un concetto accennato già da Charles Baudelaire nei Paradisi artificiali, e riecheggiano parole analoghe di Henri du Cleuziou, che aveva scritto sulla rivista progressista Le Mouvement: «il vero poeta è un veggente». Lo stesso autore, del resto, non rivendicava la paternità della scoperta; l’idea, diceva, è tedesca, e affondava le radici nel Romanticismo.
Arthur Rimbaud: la struttura della Lettre du Voyant
La Lettera del Veggente è suddivisibile in tre parti fondamentali:
- una critica inflessibile della letteratura del passato, fino a quella contemporanea al poeta;
- la prospettiva di una poetica e letteratura del futuro, che imbaud esprimerà, in appena un biennio, nella visionarietà delle Illuminazioni;
- il rapporto degli autori del Romanticismo con la “veggenza”. Negli ultimi versi esiste già questo nuovo spirito, intriso di creatività ed eapressioni mai utilizzate nella Poesia.
Pochi giorni prima della celebre missiva, aveva scritto ad Izambard:
«Voglio essere poeta, e io lavoro per rendermi veggente: voi non potreste capirci abbastanza, e io non saprei come spiegarvi. Si tratta di arrivare all’ignoto mediante una sregolatezza di tutti i sensi. Le sofferenze sono enormi, ma bisogna essere forti, essere nato poeta, e io mi sono riconosciuto poeta.»
Una dichiarazione d’intenti da parte dello scrittore, che accettava di buon grado il marchio infamante di poeta maledetto, categoria alla quale appartenne insieme a diversi colleghi, tra i quali il padre spirituale Baudelaire, Stéphane Mallarmé e, soprattutto, Paul Verlaine, che coniò Poètes maudits, e che fu compagno di Rimbaud, vivendo con lui quel secondo i principi del genio e della sregolatezza necessari per lasciarsi travolgere dalla Poesia.
Federica Checchia
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