Cultura

Baudelaire: 5 opere essenziali del flâneur “che ha perso l’aureola”

Charles Baudelaire, il modello per eccellenza della gioventù romantica ottocentesca volta alla poesia dell’eccesso e della ribellione. Il flâneur, l’esteta, il bohémien dalla vita dissipata, scrittore maledetto irregolare e incompreso. Dandismo e dissolutezza i fedeli compagni di Baudelaire, avvolto dal fascino della trasgressione e della veggenza come un “angelo caduto” inebriato dal vino.

Charles Baudelaire: 5 opere da leggere assolutamente

Particolare del quadro "Spleen et Idéal" di Carlos Schwabe (1907). Photo Credits: Wikipedia
Particolare del quadro Spleen et Idéal di Carlos Schwabe (1907). Photo Credits: Wikipedia

Assoluto sostenitore della musica di Wagner e delle trame di Edgar Allan Poe, Baudelaire nasce il 9 aprile 1821 e muore il 31 agosto 1867. Proponiamo qui un breve elenco delle sue opere essenziali.

«Il Poeta è come lui, principe delle nubi
che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
esule in terra fra gli scherni, impediscono
che cammini le sue ali di gigante»

– Estratto da L’albatro

1. I fiori del male (1857)

L’intento di Baudelaire è evidente già dal titolo, «extraire la beauté du Mal» attraverso la poesia. La prima edizione di quest’opera, che Emilio Praga amava definire «un’imprecazione cesellata nel diamante», fu subito scandalo: il procuratore Pierre Ernest Pinard (che aveva già processato la Madame Bovary di Flaubert) ne ordinò il sequestro per offesa al buon costume e alla morale. Baudelaire associa i fiori, da sempre metafora di delicatezza e bellezza, all’idea del male, attraente e accattivante, che designa la possibilità di attingere all’innocenza primordiale: una natura decadente e malata che è specchio dell’animo umano. La sofferenza ha origine dalla bellezza. Il poeta è albatro in perenne ricerca di “corrispondenze”, il cielo è un grigio coperchio e l’anima è vinta dall’angoscia. Lo squallore di una città industriale alienante e la ricerca disperata di una via di fuga nel vizio, la contemplazione della morte come possibilità di esplorare l’ignoto. La poesia diventa violenta negazione dei valori, volta a provocare il lettore, in un’atmosfera dominata dallo spleen, la noia che ha svuotato del senso l’esistenza e che potrebbe «ingoiare il mondo in uno sbadiglio». Il senso della caduta e un tormento perenne senza possibilità di riscatto.

«La mia giovinezza non fu che un’oscura tempesta, traversata qua e là da soli risplendenti: tuono e pioggia l’hanno talmente devastata che non rimane nel mio giardino altro che qualche fiore vermiglio»

– Estratto di Il Nemico

2. Lo spleen di Parigi (1869)

Cinquanta componimenti (prose miste a sezioni narrative) provocatori, più liberi e dettagliati di quelli dell’opera precedente, su sensazioni, personaggi, episodi e luoghi nascosti della capitale francese. Una scrittura musicale in petits poèmes, con aneddoti e piccole novelle, aforismi, paradossi e parabole oniriche. Tra i pezzi principali: Il vecchio saltimbanco, Lo straniero, La minestra e le nuvole, Ubriacatevi e Le folle.

«Chi non sa popolare la sua solitudine, non sa nemmeno essere solo in una folla indaffarata»

– Tratta da Lo spleen di Parigi, XII, Le folle

3. Diari intimi (1864)

La parola definitiva di Baudelaire sull’arte e sul mondo sta proprio qui, in stenografie che come lampi accendono le sue diverse personalità interne, dall’allegorista, al dandy, al teologo e il poeta indebitato. Un miscuglio di intelligenza e sensibilità in versi come “folgorazioni” nel cielo tetro di Parigi. Orrore e odio per i tempi contemporanei intrecciati alla paura della mediocrità e all’ansia del progresso. Una scrittura «carica di fluidi elettrici», come la definì Jules Renard. Le sezioni principali sono Razzi e Il mio cuore messo a nudo.

«Diffidiamo del popolo, del buonsenso, del cuore, dell’ispirazione, e dell’evidenza»

– Citazione da Il mio cuore messo a nudo

4. I paradisi artificiali (1860)

Fu sempre l’editore Poulet-Malassais a dare a Baudelaire una chance per pubblicare uno scritto all’insegna del “vizio”, nella descrizione degli effetti dovuti all’assunzione di sostanze stupefacenti (hashish, oppio e vino), inizialmente descritte come soddisfazione del «gusto dell’infinito» e poi duramente condannate. Il poeta oppone i risvolti sociali positivi provocati dal vino all’annullamento della volontà e del genio creativo dovuta all’hashish: meglio il vino dunque, secondo Baudelaire, nella famosa affermazione che chi non lo beve ha probabilmente qualcosa da nascondere!

Sappiamo che Baudelaire faceva parte del Club des Hashischins, gruppo di intellettuali parigini dediti all’esplorazione delle esperienze allucinatorie dovute alle droghe, che erano soliti riunirsi all’Hôtel de Lauzun e tra cui troviamo la maggior parte dei “poeti maledetti” come Théophile Gautier, Victor Hugo, Honoré de Balzac e Alexandre Dumas.

«Nulla eguaglia la gioia dell’uomo che beve se non la gioia del vino di essere bevuto»

– Citazione da I paradisi artificiali 

5. La Capitale delle Scimmie (1925)

Opera postuma e incompiuta, inizialmente intitolata Pauvre Belgique! o Sur la Belgique, composta da Baudelaire nei due anni di permanenza in Belgio. Aforismi, dialoghi, brevi ritratti e citazioni con la ferocia di un pamphlet di denuncia alla borghesia: un Baudelaire precursore di Flaubert e discepolo di Petronio e Swift.

Ginevra Alibrio

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