Caravaggio, uno dei geni indiscussi della pittura italiana nasce oggi, ormai 450 anni fa. Uno degli artisti italiani più amati. La sua rivoluzione sta nel naturalismo della sua opera, espresso nei soggetti dei suoi dipinti e nelle atmosfere in cui la plasticità delle figure viene evidenziata dalla particolare illuminazione che teatralmente sottolinea i volumi dei corpi che escono improvvisamente dal buio della scena.
Caravaggio, vita inquieta di un rivoluzionario della pittura
Il 29 settembre del 1571 nasce Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Il pittore appartiene ad una famiglia stimata ed agiata. La sua vocazione si manifesta molto presto. Comincia la sua carriera a tredici anni. Nel 1584 entra come allievo nella bottega del pittore bergamasco Simone Peterzano, allievo di Tiziano. La vita dell’artista però è tutt’altro che semplice. Caravaggio fin dalla più tenera età fa i conti con la morte. La peste infatti uccise suo padre, il nonno e lo zio quando aveva solo sei anni. Nel 1592 l’irrequieto pittore decide di trasferirsi a Roma.
La svolta nella sua carriera è segnata dall’acquisto de “I bari” da parte del cardinal Francesco Maria del Monte. Dopo questo avvenimento, si trasferisce a Palazzo Madama, residenza del cardinale, dove resta fino al 1600. Ma gli episodi della vita dell’artista durante questi primi anni romani rimangono oscuri e inquietanti. Nel 1597 gli viene chiesto di dipingere alcune tele per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, tutte incentrate sulla vita di San Matteo. Queste opere lo rendono celebre e contestato.
A partire dal 1603, si succedono senza interruzione denunce alla polizia, risse, processi. Nel 1605 Caravaggio si rifugia a Genova, dopo aver ferito un cancelliere in tribunale. Nel maggio del 1606, un duello si conclude tragicamente con l’uccisione del suo avversario, omicidio che lo costringe a fuggire, prima a Palestrina e poi a Napoli. La sofferenza di questi anni viene magistralmente espressa nel “David con la testa di Golia”. Il dipinto forse nasconde un doppio ritratto, stravolto dal dolore, del pittore. Colpito dalla febbre, si spegne il 18 luglio 1610 in una locanda, in solitudine. Aveva solo 38 anni.
Lo studio della luce
La particolare tecnica pittorica e realizzativa di Caravaggio è senza ombra di dubbio una delle chiavi del suo successo. Fino a quel momento, lo stile pittorico dell’epoca era estremamente legato ad un tipo di cultura accademica che si basava prevalentemente sullo studio dell’arte classica. Caravaggio fa la rivoluzione puntando sulla resa della luce per esprimere al massimo il soggetto rappresentato. Per la realizzazione dei suoi dipinti, l’artista nel suo studio posizionava delle lanterne in posti specifici per far sì che i modelli venissero illuminati solo in parte, lasciando il resto del corpo nel buio dell’ambiente.
Dipingeva osservando la vera natura della luce e dell’ombra e affidava ai contrasti di colore il ruolo di indagare e modellare ogni cosa. In questo modo l’artista esprime una personale e drammatica visione della vita. La pittura del Caravaggio, che non prevedeva alcun disegno, aveva come modelli persone reali, spesso scelte tra il popolo, e partiva dalla natura, sua unica fonte di esperienza. Questo realismo dei volti venne spesso criticato, soprattutto quando era prestato a rappresentazioni di soggetti sacri. “La morte della Vergine” ne è l’esempio. Rifiutato dai committenti perché ritenuta poco decorosa.
Caravaggio e la “damnatio memoriae”
Nonostante Caravaggio sia uno dei pittori più apprezzati di tutti i tempi, l’artista conobbe nel tempo una sorta di “damnatio memoriae”. Perse la fama già dopo la morte e poi fu dimenticato per oltre due secoli. Dalla fine del Seicento al Novecento inoltrato, nessuno parlava più di Caravaggio. Il merito di aver riacceso i riflettori su questo straordinario artista è di Roberto Longhi, negli anni Cinquanta del secolo scorso. Già poco dopo la morte, avvenuta nell’estate del 1610, la sua fama era in ribasso. Veniva considerato inferiore agli artisti coevi. Accusato addirittura di essere venuto al mondo per distruggere la pittura, secondo alcune personalità del mondo artistico dell’epoca, Caravaggio era capace di ritrarre soltanto i suoi simili (e cioè la “vile, volgare umanità”), mentre i veri artisti dipingevano historia, ovvero scene sacre o gesta di grandi uomini ed eroi.
Scarso interesse per Caravaggio si ebbe anche nell’Ottocento. Finalmente, nel XX secolo, a salvare Caravaggio dall’oblio arrivarono gli studi di Roberto Longhi, storico dell’arte e vorace collezionista, che non solo nel 1920 scovò da un antiquario fiorentino un “Fanciullo morso dal ramarro”, ma rilesse opere e vita dell’artista riconsegnando al pittore la fama che merita.
Ilaria Festa
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