Il genere horror nell’immaginario collettivo, alimentato dal mondo cinematografico,è associato il più delle volte a fenomeni paranormali, mostri nascosti in cantina, possessioni, clown mangia-bambini. In Cari mostri Stefano Benni stravolge un pò le linee guida di questo genere relegando al ruolo di mostro la creatura talvolta più mostruosa di tutte: l’uomo.

25 racconti in tutto, raccolti sotto il titolo di Cari mostri in questa edizione Feltrinelli (2015). Storie tra di loro indipendenti che hanno in comune solo i protagonisti: uomini, donne, bambini ma non in veste di vittime sacrificali o morti collaterali , ma come mandatari e fautori dell’orrore.

copertina del libro Cari mostri edito da Feltrinelli nel 2015
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Per citarne solo qualcuno.

Racconto numero 6: il mercante. In tre pagine ha descritto una situazione quanto mai attuale: la vendita di armi a mercenari, terroristi o primi ministri per intraprendere guerre. Ma cosa succede se a furia di fare guerre muoiono tutti gli uomini? Niente più armi da vendere.

l'autore del libro Cari mostri Stefano Benni
Stefano Benni
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Oppure il racconto numero 5 intitolato Hansel@Gretel.com, una rivisitazione dell’omonimo racconto dei Fratelli Grimm in cui i bambini, dopo essere stati abbandonati da un padre indigente che non riusciva più a mantenerli (mangiano sei barattoli di Nutella al giorno), li abbandona nel bosco.

Restii ad usare i famosi sassolini che dovrebbero riportarli a casa (preferirebbero un telefono GPS), arrivano nei pressi di una casa che non è fatta di marzapane, bensì di legno ecosostenibile e dalle cui vetrate si possono ammirare computer IMac e tv di ultima generazione.

La strega però si rivela essere un mercante di bambini per il mercato nero online: mette in forma i ragazzini per clienti esigenti e poi li vende.

Un pò fantasiose ma nulla che non possa realmente accadere.

La scrittura talvolta cruda, gergale e colorita arriva dritta al punto senza girarci troppo intorno. A volte basta farsi un giro per strada o leggere la prima pagina di un giornale per accorgersi che non c’è bisogno di andare al cinema per assistere all’orrore.