Castiglione, un perfetto uomo di corte

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Di Paolo de Jorio

Baldassarre Castiglione nasce nei pressi di Mantova nel Dicembre del 1478. Diplomatico, umanista e letterato italiano lascia ai posteri poesie, tra cui alcune anche in latino, trattati e lettere in cui le sue cronache avranno un ruolo fondamentale per ricostruire alcuni passaggi storici del tempo, tra cui il sacco di Roma del 1527. Il suo ruolo di Nunzio Apostolico presso lo Stato della Chiesa, infatti, gli permetterà di vivere in prima persona non solo i grandi eventi della storia ma anche sondare la vita e le vicende più nascoste delle diverse Corti nelle quali ebbe occasione di lavorare.

Il Cortegiano, l’uomo moderno di Castiglione

Baldassarre Castiglione in un ritratto Raffaello Sanzio
Baldassarre Castiglione in un ritratto di Raffaello Sanzio

L’opera del Castiglione è frutto di una lunga e continua rielaborazione da parte dell’autore stesso tanto da far giungere a noi quattro revisioni. In ognuna di esse possiamo riscontrare come da una edizione all’altra influenze, non solo linguistiche ma anche filosofiche ( il platonismo di Marsilio Ficino ad esempio), spingano Castiglione ad operare in divenire. Il testo è diviso in quattro volumi in cui vengono trattate le diverse abilità e conoscenze che un perfetto uomo di corte deve possedere e padroneggiare. La forma, come spesso accade nella trattatistica umanistico-rinascimentale, ha la particolarità di essere dialogica. L’opera, pertanto, è un continuo scambio di opinioni e un formarsi di plurime dissertazioni circa gli argomenti che il Castiglione vuole trattare. I personaggi attori dell’opera sono Pietro Bembo, umanista di spicco contemporaneo all’autore e altri intellettuali e prelati dell’epoca come Bernardo Dovizi da Bibbiena, Bernardo Accolti e Giuliano de’ Medici. Le conversazioni hanno luogo in quattro serate presso la corte di Urbino, precisamente nel 1506, periodo in cui l’autore si trovava in Inghilterra.

La struttura dell’opera

I libri sono divisi per argomenti e per ogni tematica rintracciamo un protagonista egemone che conduce il dialogo. Nel I libro, infatti, Ludovico di Canossa espone le qualità fisiche e morali che un cortigiane e uomo moderno deve essere in grado di esibire. Nel volume II spiccano, invece, le facezie ( motti, argute storie o sagaci risposte) di Bernardo Dovizi da Bibbiena. In quello successivo, inoltre, i dotti cortigiani espongono le gesta di quelle donne che hanno dato prova delle loro virtù. Infine, nel libro IV si parla in prima battuta dei rapporti che il cortigiano deve intrattenere con il suo principe per passare il testimone al Bembo. Egli, sotto ispirazione di una concezione petrarchista, disserta sull’amore spirituale e platonico di cui lui è strenuo difensore.

Chi è l’uomo di corte?

L’uomo descritto da Baldassare Castiglione risente ancora molto della tradizione cavalleresca: la capacità di adoprare le armi, infatti, è una virtù che ancora si richiede al cortigiano, accompagnata inevitabilmente da una prestanza e agilità fisica che ben si presta ad un uomo d’arme. Tuttavia il nobile a corte ha la necessità di rapportarsi continuamente con dame, damigelle, pertanto, un fare eccessivamente militaresco poco si adatta alla vita di corte. Al perfetto cortigiano si richiede, invero, oltre che una fisicità importante, capacità di conversare su qualsivoglia argomento in cui vi si possa imbattere. Deve esibire una notevole agilità e disinvoltura nell’assecondare argomenti di altissimo profilo letterario e filosofico e allo stesso modo avere la virtù di disquisire su vaghezze di vita quotidiana.

Il cortigiano esemplare non è serioso ma anzi ha grande prontezza di arguti e sagaci motti, senza ovviamente sconfinare oltre il limite concesso dal buon costume o dai ruoli che la gerarchia impone. Inoltre le sue conoscenze e capacità devono attraversare ogni campo. Non è ammissibile un cortigiano si tiri indietro qualora gli venga richiesta l’esibizione in qualsiasi forma d’arte, che essa sia il disegno o la nobile arte della danza e della musica o del canto.

Le virtù del Cortegiano

Ma vi è una virtù principe che un nobile uomo presso le corti ha l’imperativo di possedere: la disinvoltura. Al cortigiano, infatti, non è richiesta una perizia professionale bensì una padronanza della materia da dilettante esperto che non ha l’ambizione di farne la propria ragione di vita. La sua esistenza, infatti, gravita attorno alla vita stessa della corte: ogni suo agire e dire è un calcolo su una scacchiera.

Non a caso Castiglione propone al lettore come ultimo argomento la pratica, o meglio dire, il servizio amoroso. Infatti è il culmine della pratica di ogni cortigiano e in quest’ultima sezione Pietro Bembo espone l’ideale più alto dell’amore. L’amore è quello spirituale, platonico che arde ma che non consuma, fatto di scambi di poesie e di sguardi. Le affinità elettive, qui, non lordate dalla fisicità, trovano la loro massima espressione in questa dimensione pura ed eterea.

La questione della lingua

Il XVI secolo è indubbiamente teatro di un notevole fermento linguistico nella penisola ove il sì sona. I tre modelli della letteratura quali Dante, Petrarca e Boccaccio, hanno gli sguardi di tutti gli intellettuali rinascimentali non solo in qualità di prototipi letterari, bensì guardano a loro come modelli per trovare una lingua dalle precise connotazioni. Baldassare Castiglione nella sua opera non appare sordo a questa dinamicità intellettuale, non a caso la forma dialogica del trattato permette una libertà espressiva e di esposizione ben più elevate se non attraverso una dissertazione a monologo in cui vanno rispettati determinati stilemi linguistici. La lingua del cortigiano è scevra da ogni preziosismo lessicale a favore di un’immediatezza comunicativa, ben più confacente ad un salotto di corte, inoltre, data la natura cosmopolita delle corti, erano da evitarsi regionalismi e toscanismi arcaizzanti.

La lingua volgare deve assecondare, nei limiti del buon senso, i propri cambiamenti continui, accettando persino diversi forestierismi. Come è immediato intuire, la lingua muta ma le questioni rimangono. L’epoca contemporanea ancora dibatte sull’accettare o meno e in quale misura una continua e ingente quantità di forestierismi; disserta su come la preziosità e la complessità della lingua si stia perdendo a favore di una comunicazione ben più immediata e internazionale. Ad ogni modo l’autore era ben consapevole dei mutamenti continui ma aveva anche piena padronanza del latino al quale affidava non solo un ruolo primigenio ma addirittura vi individuava l’elemento cardine per l’evoluzione stessa della lingua che senza reticenze viene nominata italiana dal Castiglione. In conclusione, l’autore propone una lingua che guarda, sì, avanti e accetta dentro in sé altri sistemi linguistici pur tuttavia senza rinnegare le proprie origini.

Paolo de Jorio

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