Coco Avant Chanel: la donna dietro al mito

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Di Redazione Metropolitan

È coraggiosa l’idea alla base della pellicola di Anne Fontaine (“Marvin ou la belle education”), adattamento della stessa regista della biografia di Edmonde Charles-Roux “L’irréguiliére: ou mon itinéraire Chanel”.

Prendere una delle figure più iconiche del secolo scorso e  scegliere la via del romanzo di formazione del mito, nell’idea di delineare la maturazione umana ed emotiva prima che quella professionale, che la porterà a rivoluzionare il mondo della moda internazionale.

Coco Avant Chanel: la formazione del mito in 4 step

Dall’infanzia in orfanotrofio con la sorella ad aspettare un padre che non tornerà mai alle prime esperienze lavorative come sartina di provincia. E poi le esibizioni nei cafè chantant, dove Gabrielle inizierà ad identificarsi con il soprannome di Coco e la conseguente frequentazione con il ricco borghese Etienne Balsam (Benoit Poelvordee). Figura figlia del proprio tempo che, se da una parte la vorrebbe vicino a sé in qualità di semplice amante e cortigiana, dall’altra la ospiterà nella sua enorme tenuta nei dintorni di Parigi e con i suoi contatti sarà fondamentale per le basi della carriera di Coco.

Fino a Boy Capel (Alessandro Nivola) l’uomo che più si avvicinerà alla possibilità concreta di diventare compagno di vita della futura stilista, ma che le differenze sociali e la forte autonomia della stessa non renderanno possibile. E’ anche un film sulla solitudine dei numeri primi “Coco Avant Chanel”. Non a caso il film si apre e si chiude sulle stesse note: che fosse la piccola Gabrielle in compagnia della sorella durante il trasferimento su un carretto verso l’orfanotrofio, o Coco Chanel istituzione della moda che vede i suoi capi sfilare seduta su una scalinata, è il senso di solitudine intrinseca ed isolamento a bucare lo schermo.

Coco Avant Chanel: il prezzo dell’unicità

Una condizione di mai totale integrazione permanente ma anche di consapevole unicità che permise a Coco di sfidare convenzioni prima sociali e  poi espressive, nel suo costante tentativo di stare a galla in un mondo per soli uomini dove una donna, oltretutto autonoma e anticonvenzionale, avrebbe potuto al massimo ottenere un trattamento da curioso e sconosciuto animale da intrattenimento. Nei panni di Coco, Audrey Tautou: definitivamente liberatasi dai panni astringenti di Amelie, la Tautou mette in scena una Coco complessa, delicatissima e “normalizzata” nella sua peculiare umanità e impegnata in una continua ricerca di equilibrio tra aspirazioni, naturale sfida alle convenzioni e difficoltà in un mondo che di lei, donna e povera, non può mai essere davvero amico.

Attorno a lei la Fontaine cuce una messa in scena tutt’altro che didascalica, che si prende il suo tempo per costruire figure credibili e scandagliare gli animi in un gioco di macchina che spesso da l’idea di partire dalla protagonista e misurarne intese e idiosincrasie con un mondo tanto difficile e diverso. Viva Gabrielle quindi, ancora prima che Viva Chanel, donna rivoluzionaria nella vita prima che nella moda, capace agli albori del secolo scorso di confidare alla sorella in un momento di gioiosa confidenza: “La sola cosa interessante dell’amore è fare l’amore, peccato sia necessario un uomo”.

Andrea Avvenengo

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