Tra proteste, Climate Strike e Fridays for Future, le giovani generazioni sono sempre più attive nel far sentire la loro voce contro l’inattività verso la crisi climatica. Si tratta di una consapevolezza nuova, capace di trasformare la questione in una guerra generazionale dettata dalla paura di non vedere il proprio futuro svilupparsi in modo positivo. Conflitti e difficoltà sono dietro l’angolo e i giovani lo avvertono. Così affrontano l’emergenza ambientale come un problema urgente e dirompente, con la consapevolezza che ha un grande impatto sulle nostre vite. Ma lo fanno spinti dalla paura e dall’ansia di vedere la catastrofe concretizzarsi.

Giovani – Photo Credits Teleambiente

I giovani combattono la crisi climatica in uno stato di “eco-ansia”

Perché è scoppiata tutta questa frenesia per combattere l’emergenza climatica? E perché la maggioranza gli attivisti per il clima sono composti perlopiù dalle giovani generazioni? La risposta la troviamo nell’ambito della psicologia: a causa dell’ansia o, più precisamente, dell’eco-ansia. Questa è definita dall’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva come “sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare”. A quello ecologico sono da aggiungere gli ambiti sociale, economico e geopolitico, perché la crisi ambientale è dirompente in ogni ambito della nostra esistenza.

In questo modo la crisi ecologica irrompe anche nell’ambito della salute mentale, concretizzandosi come paura di un futuro incerto. Per questo motivo, ad essere più soggetti all’eco-ansia, spiega l’IPSCO, sono prima di tutto i più giovani, seguiti dalle persone esposte a problemi ambientali fisici, dalle donne e dai professionisti della sostenibilità e dagli attivisti ambientali. L’eco-ansia è inevitabilmente un fattore di stress, ma come vediamo anche una risorsa: è questa paura che spinge le nuove generazioni ad avere sempre più riguardi nei confronti del Pianeta, manifestando la voglia di un cambiamento che porti a una maggiore consapevolezza ambientale ma anche sociale.

Martina Cordella