Cultura

Disinnescare le emozioni con Wislawa Szymborska, tra poesia e ironia

È nel 1996 – all’età di 73 anni – che il nome Wislawa Szymborska (1923 – 2012) – di cui oggi ricordiamo la nascita – inizia a circolare. Spesso occorre la conferma di un premio Nobel per illuminare l’operato di chi lavora nel silenzio del proprio quotidiano. Prima la conoscevano “due su mille” come lei stessa scrisse ironicamente, anche di coloro che amano la poesia. Ed ecco che a metà degli anni novanta l’apertura al grande pubblico porta alla luce “la Wislawa”, una signora poeta di cui si sapeva ben poco.

Wislawa Szymborska: una donna comune che diventa una poeta straordinaria

Szymborska era nata nel 1923 a Kornik, vicino a Poznan in Polonia. Inizia a lavorare appena maggiorenne come impiegata alle ferrovie, evitando così la deportazione. All’Università sceglie sociologia e lettere. Lascia gli studi perché non ha scelta: deve guadagnarsi il pane. Dopo un passato comunista poi disconosciuto come ‘’errore di gioventù’’ in cui c’era tuttavia ‘’molta buona volontà’’, diventa una poeta alla ricerca della magia delle più piccole cose e non solo.

La sua fortuna all’estero cominciò nel 1960 con le prime traduzioni in Germania, Inghilterra, Russia, Svezia. In Italia Vanni Scheiwiller pubblicò due accolte nel 1994 e nel 1996, anno in cui vinse il premio Nobel per la Letteratura. In Italia la sua opera è attualmente pubblicata da Adelphi con successo. Per arguzia, schiettezza e rapidità lirica Szymborska è alla portata di tutti.

Giochi di parole arguti e accostamenti surreali compongono l’immaginario di Wislawa

Nelle sue poesie ha sempre cercato il linguaggio parlato (ma forbito), tuttavia si farebbe torto alla sua filosofia se la si leggesse solo come poeta delle piccole cose. La sua è una ricerca sull’esperienza come evento della singolarità; la realtà presa nel suo particolare. L’autrice gioca con le parole, le crea, ne cura dettagli e accostamenti come fossero collage surrealisti e con semplicità apparente scrive i versi.

Con le parole dipinge paesaggi o ‘’scrive’’ fotografie focalizzando i particolari, anche le cose date per scontate. Non smette mai di provocare, risveglia l’anima sopita di chi la legge che torna a provare meraviglia in una scanzonata libertà. Non è quindi errato l‘accostamento alla grande poeta ottocentesca Emily Dickinson, altra indiscussa giocoliera delle parole.

I versi di Wislawa Szymborska si muovono in un lessico colloquiale ma mai scontato

Lontana dall’austerità della poesia che incute soggezione, Wislawa preferisce accomodarsi accanto al lettore – suo pari. Con lui condivide gioie e dolori, interrogativi e fragilità:

«Vorrei che i lettori percepissero tutte le mie poesie come fossero loro, come scritte per loro. Perché una poesia appartiene a te che la leggi, ed è a te che dedico quello che scrivo».

Le sue immagini lavorano su quelli che chiamò “tranelli logici” delle parole. È il miracolo della quotidianità e della normalità: un miracolo che si compie quando queste vengono accolte senza però accettarle mai come tali. La poesia può avere come oggetto qualsiasi cosa, ma “in poesia non c’è più nulla di ordinario e normale”, disse chiudendo il discorso in occasione del Nobel a Stoccolma.

Una poesia che sia logica e relativa, assai poco emotiva

Ogni componimento poetico di Wislawa racchiude svariati punti di vista, tutto è relativo: “In ogni possibile risposta – afferma – dovrebbe esserci un’altra domanda”. La poesia del dubbio, mai assertiva e sempre interrogativa smonta la realtà con ironia tenendo a bada e disinnescando le emozioni.

A tal proposito diceva: “Se al centro di ogni poesia c’è un’emozione quello che devi fare è combattere contro questa emozione. Se dovessi usare le emozioni, basterebbe solamente dire: ”Ti amo, punto e basta”. Eppure la parola “amore”, così banale, non ha più lo stesso significato e ogni amore scrive il suo.

C’è chi

C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.

E’ tutto in ordine dentro e attorno a lui.

Per ogni cosa ha metodi e risposte.

E’ lesto a indovinare il chi il come il dove

e a quale scopo.

Appone il timbro a verità assolute,

getta i fatti superflui nel tritadocumenti,

e le persone ignote

dentro appositi schedari.

Pensa quel tanto che serve,

non un attimo di più,

perché dietro quell’attimo sta in agguato il dubbio.

E quando è licenziato dalla vita,

lascia la postazione

dalla porta prescritta.

A volte un po’ lo invidio

– per fortuna mi passa.

Alessia Ceci

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