Nascosti dietro una cinepresa, i director hanno contribuito inconsapevolmente alla costruzione di un costume che supera la scena per diventare sociale. Un’uniforme diversa per autore, distinta per immaginario, e unica nella sua funzione, ma sicuramente comune nel concetto professionale di artista. Questi artisti della cinematografia moderna, da Lina Wertmuller ed i suoi vistosi accessori all’androginia di Kathryn Bigelow, hanno saputo narrare i tempi contribuendo alla riscrittura di un fashion movie che si realizza nel backstage delle grandi produzioni.
Fashion behind the camera: tra foto, post e digital rivivono i look dei movie director
Le congiunzioni elettive tra fashion e cinematografia non riguardano solo i costumi di scena, spesso protagonisti di dibattiti artistici nonché parteci della storia dell’abito, uno tra tutti Fendi che da sempre incornicia la sua eredità creativa in pellicole neorealiste a richiamo delle sue apparizioni indosso alle grandi interpreti degli anni ‘70. Ma riguarda anche il look informale, spontaneo, senza alcuna costruzione, ma figlio di un’identità artistica unica dei suoi autori. Sono diverse le fotografie che raffigurano i grandi della cinepresa in abiti comuni, ma dall’interpretazione straordinaria, dirigere gli attori lontani dalle riprese, anche se non lontani dallo sguardo appassionato dei fashion insider che ne studiano il look. E proprio nei loro look più iconici sembra leggersi un’unica base di fondo: l’identità 90s che si svela in completi maschili, micro e macro stampe, e macro accessori. Ed i social sono lo strumento di raccolta di queste informazioni, di questi cimeli, capaci di conservare dietro uno schermo un vastissimo archivio di uniformi dei grandi nomi della cinematografia, permettendo alle nuove generazioni di rivivere anni lontani, anche se poi non così lontani. Tra gli account social più seguiti, @directorfits è il più attivo ed accurato, con più di 400 immagini, alcune apparentemente inedite, dei look dei movie director di ieri.
I simboli, i look, le icone
Dalla Wertmuller a Spielberg, quali erano gli abiti, gli accessori, i simboli estetici dei grandi director? Se si dice ‘’occhiali bianchi’’ non si può non dire Lina Wertmuller che ha sempre interpretato un personaggio dei suoi movie nascosto dietro i suoi modelli 60s. L’associazione tra la director e i suoi occhiali divenne nel tempo sempre più comune, così che poi il suo stesso documentario realizzato nel 2015 si intitola ‘’Behind The White Glasses’’, che mostra quanto fossero importanti per lei quegli occhiali realizzati da un’ottica di Roma negli anni ‘80. ‘’Mi sembra di essere sempre in vacanza’’ disse la Wertmuller quando le venne chiesto il motivo di questa unione indissolubile. Vacanziero era al anche il total look di Kathryn Bigelow che prediligeva il completo maschile per il suo dailywear sul set. Ampi pantaloni ed altrettanto ampia giacca è stato il duo che ha accompagnato la movie director nella sua vita professionale. Inseparabili come i suoi biker sopra spesse maglie scure, il personaggio artistico quanto creativo della Bigelow è il più androgino di tutti: non ha mai distinto il womenswear dal menswear ed il suo guardaroba dimostra che l’arte non ha genere, ma generalità estetiche. Steven Spielberg, al contrario, era più una comparsa per via della sua persona sfuggente, che prediligeva abiti funzionali all’americana come pantaloni ampi e maglie logate, che lo ricordano come il giovane studente di cinestoria. Tutt’altra storia per Sofia Coppola, che per un anno ha lavorato negli studi creativi di Chanel. Da allora il suo look si modificò per sempre: abiti sartoriali, minigonne in tweed convivevano con maglie logate, scritte sovversive ed un anticonformismo che si alternava ad un gran rigore lavorativo. È stata la figlia artistica della cinematografia realista e dell’industria dell’abito.
Il costume storico che supera la scena
E così il fashion da lontano spettatore diviene protagonista non solo delle pellicole ma anche dei retroscena, di quella pagina di storia cinematografica che non viene ripresa, ma fotografata. Sono rari i cimeli di questa vita nascosta, ma spesso rarità è sinonimo di unicità . Unico come il suo valore storico. Un valore sconosciuto al grande pubblico, ma che accresce il prestigio di un’industria che non vive solo di produzioni ma anche di storytelling.
Luca Cioffi
Seguici su Google News