“Principe”. Così lo chiamava Lucio Dalla. Elegante, schivo, per alcuni burbero, ma il suo passo felpato sul palco ha tutta l’austerità di quel soprannome. Il portamento regale e nobili parole nelle canzoni. Il “Bob Dylan italiano“, che ha per sua prima chitarra quella del nonno. “Sembravamo un cartoneanimato: io ero Topolino, lui Pippo”. Era il “Banana Republic tour“, e Dalla scherzava sulla differenza d’altezza del suo fraterno amico Francesco De Gregori.
Gli anni romani di Francesco De Gregori e Lucio Dalla
Quante volte durante gli anni del sodalizio, Francesco De Gregori avrà citofonato in Vicolo del Buco 7, a Trastevere, dove abitava Lucio Dalla. O a casa sua a Bologna, in Via d’Azeglio, dove al campanello dovevi suonare su Domenico Sputo. Lo pseudonimo che usava Dalla per partecipare come corista, tastierista e sassofonista a diversi album degli Stadio, di Luca Carboni e di Ron. La bizzarria del nome, ha un fondamento: da piccolo giocava con i suoi amici a chi sputava più lontano, vincendo sempre le gare. Ai romani anni ’70, risale l’idea del disco/tour di “Banana Republic“. Proprio nell’appartamento trasteverino di Lucio. Poco illuminato, ma con un pianoforte al centro della stanza che ogni sera lui suonava, facendo ascoltare anche i vicini.
Fu Dalla a riportare De Gregori sul palco con il tour negli stadi di “Banana Republic“. Un evento che segnò la fine di un’epoca, in cui si considerava la musica sinonimo di impegno e lotta politica; e i cantautori dovevano mettere al servizio della protesta, le loro canzoni. Nessuno rimase immune dagli attacchi di frange di sinistra. Sotto processo finirono le canzoni, i cachet dei concerti, i prezzi dei biglietti. “Lucio, stasera io suono a Viterbo“, “Ok, vengo anch’io“. Nascevano così le serate: Dalla saliva sul palco con De Gregori e improvvisava col clarinetto. “Fu uno strano incontro, da studio a studio, uno davanti all’altro. Non so perché ma da come entrava e usciva mi resi conto che era un vecchio amico, anche se non l’avevo mai visto. Ci acchiappammo subito. Era straordinario, divertente, intelligente. Diverso dagli altri, capace di mettersi in comunicazione con chiunque. Sapeva stare al gioco. Aveva un’istrionica potenza da cui eravamo tutti irresistibilmente attratti“. Scrive De Gregori di Dalla, in “Mi puoi leggere fino a tardi“. Un’amicizia a pelle, magica, tra il prestigiatore Francesco De Gregori e il folletto Lucio Dalla. Il basco o il Borsalino alle ventitre, contro un berretto di lana calato sugli occhi.
Cosa sarà, basta una nota di Lucio
In occasione di uno dei tanti pranzi a casa del cantautore romano, in cui tra i commensali c’erano De Gregori e Ron, si diede vita alla storica collaborazione. “Mi feci trovare intento a scrivere la canzone ‘Ma come fanno i marinai‘”, ha raccontato De Gregori a Mario Luzzato Fegiz nel 2012. “Forse già mentre la pensavo ipotizzavo che, assieme a Lucio, sarebbe potuta diventare una cosa forte, importante e divertente. E lui la sentì, se ne innamorò, ci mise subito un bel riff di clarinetto all’inizio, aggiunse, cambiò, migliorò, la rese decisamente più “commestibile”, più adatta alle nostre due vocalità“. Ne venne fuori un 45 giri, uscito nel novembre 1978, che aveva sul lato A “Ma come fanno i marinai” e sul lato B “Cosa sarà“.
“Pablo” è una canzone dura e amara, di chi è emigrato subito dopo la morte del padre e fugge per sopravvivere. Di chi, dalla Spagna, va a cercar fortuna in Svizzera: ‘Spago sulla mia valigia non ce n’era / Solo un po’ d’amore la teneva insieme / Solo un po’ di rancore la teneva insieme‘. “Avevo appena finito questa canzone, capivo fosse una storia interessante. E gliela feci sentire, eravamo a Bari. Lucio mi disse: “Bella, bella. Però qui devi cambiare, perché l’inciso si pianta”. Lui cambiò semplicemente una nota, ma quella nota dava un senso in più” , racconta De Gregori.
Il fischio di De Gregori per Dalla
“Lo scout non l’ho fatto“, dice De Gregori spiegando la canzone “Giovane esploratore Tobia“, nell’album “Bufalo Bill“, 1975. Il protagonista è un ragazzo di 15 anni. “Un personaggio emblematico. Quello che fa paura dei giovani esploratori è l’inconcludenza; loro imparano ad accendere i fuochi. Io ho emblematizzato il personaggio dello scout: per intenderci, lo scout che nelle barzellette deve fare la sua buona azione quotidiana. Chiedo scusa a tutti gli scout se ho preso la loro figura oleografica per parlare di un personaggio come Tobia. E se avessi approfittato invece delle Giovani Marmotte?“. Tobia era un collaboratore di Lucio Dalla. Un tipo divertente. Ma la canzone non parla di lui. Era significativo solo quel nome per De Gregori che l’ha usato nel contesto di una storia immaginaria: “Visto che comunque Tobia in qualche modo c’entrava, feci ascoltare il pezzo a Dalla e lui mi diede qualche dritta sulla musica, come aveva fatto a suo tempo con Pablo”.
“Lucio era sovrastante, era molto diverso da me, era immediatamente simpatico. Io no, avevo un altro ruolo. Lui saliva sul palco e prendeva molti più applausi di me. Tre quarti dello stadio lo invocava e un po’ soffrivo. Dalla era abile a giocarsela sta cosa, un po’ ti voleva fregare. Io lo sapevo e la sua inclinazione non ha mai scalfito la nostra reciproca ammirazione: vera profonda, sostanziale. La rivalità esisteva. Sotto quell’aspetto, era geloso di me. Mi chiamava il principe. Noi due coltiviamo una formidabile intesa artistica ma siamo molto diversi. Negli ultimi trent’ anni ci saremo visti quattro o cinque volte. Anche ora, dopo il concerto, ognuno va per i fatti suoi. Non esiste l’obbligo di cenare insieme. Ma la vera amicizia è proprio questa, non avere obblighi e lasciarsi liberi “. Francesco parlava così di Lucio. Rifiutandosi poi di commentare e rilasciare interviste quando l’amico scomparve. Il suo omaggio a lui, silenzioso e profondo, prenderà le note di “Santa Lucia“, canzone preferita da Dalla nel repertorio del collega. Nei concerti vedrà la sua chiusura con l’intonazione del fischiettio di “Com’è profondo il mare”.
Federica De Candia
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