Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo aveva rivoltato la vecchia fisica aristotelica da cima a fondo, scatenando un putiferio. Il mondo accademico italiano era in subbuglio, come lo era quello teologico. L’autore, il pisano Galilei, sostiene che l’universo eliocentrico copernicano è una realtà effettiva, del tutto concreta, e non una mera ipotesi matematica utile a facilitare i calcoli. La Terra immobile, i nove cieli, le stelle fisse, gli epicicli, l’universo finito, finalistico e ordinato: tutto è da buttare. La reazione del mondo ecclesiastico non si fa attendere. Già il Maestro del Sacro Palazzo Nicola Riccardi, aveva scritto all’inquisitore di Firenze che il papa avrebbe voluto impedire la diffusione del libro, che doveva essere corretto. E il 13 Febbraio del 1633 Galileo Galilei arriva a Roma per presenziare, davanti al tribunale dell’Inquisizione, al processo per eresia che lo segnerà per il resto della vita.

“Fermati, o sole!” Il geocentrismo biblico

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«Fermati, o sole, su Gabaon! Si fermò il sole e la luna rimase immobile ». La celebre frase che sta alla base del geocentrismo biblico proviene dal libro di Giosuè. Il condottiero di Israele, durante una terribile battaglia contro gli Amorrei davanti alla città di Gabaon, lancia questo grido verso il cielo. La Bibbia per secoli è stata un’autorità scientifica, oltre che dottrinale: l’interpretazione letterale del passo era una prova allora attendibile contro le tesi galileiane. Se il sole può fermarsi (e altrimenti perché Giosuè gli griderebbe di farlo?), allora è lui che compie i moti di rivoluzione attorno alla Terra, e non il contrario. Galileo, asserendo che la Bibbia dice “come si va in cielo, non com’è fatto il cielo”, puntellava in maniera inaccettabile la veridicità di un testo di origine divina.

La rivoluzione copernicana, del resto, creò un dibattito che interessò tanto i teologi quanto gli scienziati. Il cardinale Bellarmino, già nel 1616, inviava allo scienziato pisano un ammonimento, in cui raccomandava di contentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente”. Il monito di Bellarmino lasciava la strada aperta a tutte le teorie, in una prospettiva ipoteticista che sembra addirittura anticipare la scienza contemporanea, ma in realtà affondava le sue radici nello scetticismo verso la ragione umana. Dio, nella sua onnipotenza, avrebbe potuto indifferentemente creare un universo geocentrico, eliocentrico, o in innumerevoli altri modi. L’indagine naturalistica era precaria e ogni sua conclusione irresoluta e aleatoria. Il messaggio della Rivelazione era l’alternativa sicura e naturale a questa costitutiva incertezza delle capacità cognitive umane. Se una teoria non era conciliabile con la biblica tradizione millenaria, allora era di certo eretica. Non si poteva giungere ad alcuna verità sine Dei auxilio.

“Eppur si muove!” Galileo a processo a Roma, davanti all’Inquisizione

Ormai è risaputo che Galileo non poté portare prove strettamente probanti, per sostenere la tesi copernicana. Egli nel suo Dialogo sosteneva con veemenza la tesi perché suffragata dai calcoli e dal buonsenso. Ma innumerevoli altri scienziati stavano già riadattando il sistema tolemaico alle rilevazioni dei nuovi cannocchiali. Al processo, Galileo rimase molto sulla difensiva: Il Commissario comincia ad interrogarlo sugli avvenimenti del 1616. Si vuole appurare la sua responsabilità nella trasgressione degli ordini ricevuti da Bellarmino. Domanda se gli fu rivolto un precetto alla presenza di testimoni, in cui “si conteneva che non poteva in qualsiasi modo tenere, difendere o insegnare la detta opinione”. Galileo confuta che gli fosse stato negato di parlare in “qualsiasi modo”, ammettendo implicitamente di aver ricevuto un precetto.

Per quanto riguarda il Dialogo, Galileo scelse nella sua strategia difensiva di presentarlo come un’opera volta a dimostrare l’insostenibilità delle tesi copernicane. Anzi nel detto libro io mostro il contrario di detta opinione del Copernico, et che le ragioni di esso Copernico sono invalide e non concludenti.” Tuttavia, questo escamotage non gli basta a sfuggire al torchio inquisitorio. Il 21 giugno si tiene l’ultimo interrogatorio circa l’intenzione che Galileo ha avuto scrivendo il Dialogo. Alla domanda se egli sostenga o avesse sostenuto la teoria eliocentrica risponde: “Io non tengo né ho tenuto questa opinione del Copernico, dopo che mi fu intimato con precetto che io dovessi lasciarla; del resto, son qua nelle loro mani, faccino quello che gli piace.” Si tratta di una menzogna: lo sa Galileo, lo sanno i cardinali inquisitori. Ma una menzogna che basta a una condanna ai domiciliari a vita e a un’abiura.

“Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel Convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633. Io Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria”.

La leggendaria escandescenza: “eppur si muove!” pronunciata battendo un piede a terra dopo l’abiura, forse appartiene alla leggenda, ma restituisce un momento di gloria a uno scienziato più che settantenne messo davanti ai ferri per aver sostenuto un’idea, contro il potere dei suoi tempi.

Lorenzo La Rovere

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