Gaza è un inferno: l’ipocrisia degli Usa nei negoziati e il ruolo cruciale dell’ Iran nelle trattative con Israele. Osserviamo con ansia il summit di Doha.

Oggi, in Qatar, riprendono i negoziati cruciali per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. L’obiettivo è fermare l’escalation tra Israele e Hamas, ma ora se ne aggiunge uno nuovo: dissuadere l’Iran da un attacco contro Israele. Il summit di Doha, promosso dagli Stati Uniti, è visto come un’ultima opportunità per fermare la spirale di violenza a Gaza. Si evidenzia, nel summit, anche la necessità di garantire la liberazione degli ostaggi israeliani.

Una tregua a Gaza, negoziati USA per bloccare l’attacco dell’ Iran: la risposta di Netanyahu

L’incontro si svolge in un clima di incertezza, soprattutto a causa della decisione di Hamas di non partecipare ufficialmente ai colloqui. Yahya Sinwar, leader di Hamas, ha chiesto la cessazione immediata delle operazioni militari israeliane a Gaza. Questa sarebbe stata la condizione preliminare per partecipare ai negoziati, ma Gerusalemme ha ovviamente respinto questa richiesta. Sinwar suggerisce una possibile partecipazione se Israele interrompesse i combattimenti e avanza emendamenti alle proposte di cessate il fuoco. Si parla, ad esempio, della liberazione del leader di Fatah, Marwan Barghouti, e di altri detenuti di rilievo.

Dal lato israeliano, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha imposto nuove condizioni per il cessate il fuoco. Ora s’aggiunge la richiesta della liberazione immediata di 33 ostaggi e il mantenimento delle truppe israeliane nel “Corridoio Filadelfia” al confine tra Gaza ed Egitto. Netanyahu ha incontrato ieri la sua squadra negoziale per discutere i dettagli dell’accordo di tregua e dello scambio di ostaggi con Hamas. La sua posizione rigida, tuttavia, sta decisamente complicando i colloqui. Ci si chiede se Israele voglia effettivamente che si concludano.

Gaza e USA: le sfide nei negoziati e l’influenza dell’ Iran, in un momento cruciale della storia diplomatica mondiale

Gli sforzi diplomatici in atto sono un teatro di ambiguità e interessi nascosti. In tutto ciò, come sempre, gli Stati Uniti che cercano di imporre la loro agenda nel Medio Oriente. Joe Biden ha inviato emissari di alto livello come Brett McGurk e Amos Hochstein. Tuttavia, questa iniziativa sembra più un tentativo disperato di mantenere determinate apparenze formali, piuttosto che una vera ricerca di pace. La presenza di questi negoziatori a Doha, insieme al Qatar e all’Egitto, è vista da molti come un’operazione di facciata. Lo scopo è preservare il controllo statunitense sulla regione, piuttosto che un sincero impegno a fermare il bagno di sangue a Gaza.

Gli Stati Uniti, con il loro storico sostegno incondizionato a Israele, continuano a giocare un ruolo ambiguo. Mentre da una parte si presentano come mediatori, dall’altra, non riescono a dissimulare il loro appoggio alle politiche repressive di Netanyahu. L’idea di coinvolgere paesi come il Qatar e l’Egitto sembra quasi una mossa obbligata per mantenere un minimo di credibilità internazionale. La vera intenzione sembra quella di garantire che Israele continui a perseguire i suoi obiettivi strategici senza troppi ostacoli.

Intanto, il Segretario di Stato Antony Blinken ha posticipato il suo viaggio in Medio Oriente, forse aspettando che la situazione si chiarisca. Se il summit di Doha producesse qualche risultato potrebbe essere venduto come un “successo” diplomatico, anche se temporaneo e superficiale. Ma dietro questa diplomazia frettolosa si nasconde l’inevitabile: la politica statunitense rimane prigioniera dei suoi stessi interessi imperialisti, incapace di prendere una posizione morale forte contro le azioni di Israele.

Ma l’Iran ha davvero le forze per attaccare Israele?

L’Iran possiede una notevole potenza militare, caratterizzata da un ampio arsenale di missili balistici e droni avanzati, insieme a una vasta rete di milizie alleate nella regione. Tuttavia, la capacità dell’Iran di lanciare un attacco diretto e su larga scala contro Israele è complessa e presenta diverse limitazioni.

Sul piano militare, l’Iran ha migliorato le sue capacità di attacco a distanza grazie ai missili balistici e ai droni armati. Inoltre, ha investito in difese aeree avanzate, come il sistema S-400 che ha cercato di ottenere dalla Russia. Queste forze gli permetterebbero di infliggere danni significativi a obiettivi israeliani. Tuttavia, un attacco diretto su vasta scala contro Israele comporterebbe decisamente un altissimo rischio per l’Iran. Israele è dotato di un sofisticato sistema di difesa missilistica, l’Iron Dome, imparagonabile a quello dell’Iran. Inoltre, ha il sostegno degli Stati Uniti, pronti a intervenire in caso di escalation. Un conflitto diretto potrebbe provocare una risposta devastante da parte di Israele, che dispone di capacità militari superiori, inclusi armamenti nucleari.

Sebbene l’Iran possa non avere la potenza per distruggere Israele in un attacco convenzionale, potrebbe comunque destabilizzare gravemente la regione. Specialmente, se agisse in coordinamento con alleati come Hezbollah in Libano. Questo scenario preoccupa profondamente la comunità internazionale, che teme un’escalation capace di coinvolgere l’intero Medio Oriente in un conflitto su vasta scala.

Gaza e USA: l’ipocrisia nei negoziati, ma che ruolo ha l’Iran?

Ma veniamo alla giornata di oggi: Doha ospita un incontro di grande rilevanza per il futuro del Medio Oriente. Oggi avviene il summit per negoziare un “cessate il fuoco” (l’ennesimo) tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. Questo vertice è presentato come un’“ultima opportunità” per porre fine alla spirale di violenza che ha devastato la regione. Purtroppo però, è già contrassegnato da profonde contraddizioni e ipocrisie. Hamas ha deciso di disertare i colloqui, ponendo come condizione la cessazione immediata delle operazioni israeliane, una richiesta che Israele ha (ovviamente) respinto senza esitazioni.

Gli Stati Uniti spingono per il summit con il coinvolgimento di emissari di alto profilo e per la partecipazione di Qatar ed Egitto. Ma la loro duplicità è evidente. Washington, pur promuovendo il dialogo per la pace, continua a sostenere incondizionatamente le operazioni militari israeliane. Gli Usa ad oggi ignorano sistematicamente le sofferenze della popolazione civile palestinese e alimentano la conflittualità con l’invio di aiuti e armi a Israele. Questo doppio standard riflette un cinico calcolo geopolitico piuttosto che un reale impegno per la risoluzione pacifica del conflitto.

Un momento cruciale

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha imposto come condizione imperativa la liberazione di 33 ostaggi, una pretesa che aggiunge ulteriori complessità al già fragile processo di pace. Nel frattempo sul campo, i raid israeliani continuano a seminare morte e distruzione a Gaza. Si aggrava così una crisi umanitaria che ha già causato fino a 40mila vittime, un numero esorbitante. In questo scenario, l’Iran, pur avendo ufficialmente negato un ruolo nei negoziati, si trova a dover gestire una delicata posizione strategica. Minaccia da tempo di reagire se non si raggiunge un cessate il fuoco. Il summit di Doha rappresenta quindi un rilevante crocevia? Il preoccupante disallineamento tra le dichiarazioni di pace e le azioni concrete degli attori internazionali suggerisce che potrebbe non essere così. Potrebbe anzi, essere altro che l’ennesimo tentativo fallito di risolvere una crisi che ha già inflitto enormi sofferenze. Il mondo osserva con crescente disillusione, temendo che la vera pace continui a sfuggire tra promesse vuote e calcoli geopolitici.

Intanto continua la crisi umanitaria

Mentre i potenti discutono, Gaza sprofonda. Ad oggi è in atto una crisi umanitaria devastante. Gli incessanti attacchi israeliani, come quelli su Khan Younis, hanno seminato morte e distruzione. Gli abusi di guerra tra stupri e torture sono all’ordine del giorno. Scuole e ospedali vengono bombardati in continuazione, ignorando ogni convenzione internazionale. Il Ministero della Sanità di Gaza che stima fino a 40.000 vittime. Ma la comunità internazionale, intrappolata nei propri interessi, sembra cieca di fronte a questa tragedia.

Gli Stati Uniti continuano a giustificare tacitamente l’aggressività israeliana, ignorando il dramma di milioni di civili intrappolati in un conflitto che sembra senza fine.

Teheran osserva attentamente. L’Iran, pur non partecipando ufficialmente ai negoziati, ha già avvertito: anche solo un cessate il fuoco a Gaza potrebbe evitare un intervento diretto. Questo avvalora, purtroppo, anche la tesi che nonostante le minacce, l’Iran non abbia in effetti la forza per fronteggiare Israele. Almeno non da solo. L’ipocrisia della diplomazia occidentale parla di pace ma chiude un occhio di fronte al massacro. Gaza – a voler essere ottimisti – è a un passo dal baratro.

Negoziazioni su Gaza: tra USA e Iran il genocidio continua nella Striscia

La crisi umanitaria non è solo una questione di numeri, è un capitolo di storia cupissimo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi ignavi. La mancanza di cibo, acqua, e cure mediche sta riducendo la popolazione a una condizione disumana. Eppure le potenze mondiali, USA in testa, continuano a giocare con le vite dei palestinesi come pedine in una partita geopolitica.

L’Iran, consapevole della sua importanza strategica, mantiene un equilibrio delicato. Intervenire potrebbe restituirgli conseguenze devastanti, ma rimanere inattivo adesso rischia di compromettere la sua credibilità nella regione. Se i negoziati fallissero, la situazione potrebbe precipitare in una guerra su vasta scala, con implicazioni catastrofiche per l’intero Medio Oriente? In questo contesto, ogni giorno di silenzio internazionale è un altro giorno di complicità nel massacro di un popolo.

Maria Paola Pizzonia, Autore presso Metropolitan Magazine