Gender gap nel mondo della finanza

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Di Francesca Mazzini

Noi di BRAVE prestiamo molta attenzione alle questioni che riguardano la parità di genere. Oggi vogliamo approfondire la questione del gender gap nel mondo della finanza.

Di recente analisi e statistiche stanno dimostrando che le società dove più si rispetta la parità di genere, soprattutto agli alti livelli nel mondo della finanza, sono quelle che vengono meglio gestite, sono le più innovative nel mercato e meno propense al conformismo.

Parità di genere in questo caso sembra voler dire profitto, oltre che diritto.

Uno dei maggiori sostenitori di questa tendenza è lo studio McKinsey, che considera le società con un managment attento alla parità di genere maggiormente inclini a riscuotere il 21% in più dei profitti.

Un’analisi del Peterson Institute for International Economics rivela come il passaggio da zero al 30% di leader femminili sia associato a un aumento del 15% dei profitti netti. E “tutto ciò per gli investitori si traduce in risultati migliori in termini di redditività del capitale e di performance corrette per il rischio”.

Uno studio di Credit Suisse ha dimostrato che le imprese con almeno un membro del Cda donna in media hanno incrementato gli indici di Borsa di riferimento di un 40%, vale a dire il 3,5% l’anno che sale al 3,8% se la presenza femminile è superiore al 33% tra le figure apicali.

Dare spazio alle donne anche nel mondo della finanza vorrebbe quindi dire di produrre risultati migliori in termini di redditività del capitale delle società. Una conquista senza dubbio anche a livello etico e giuridico.

Come risolvere il gender gap

Cosa può fare dunque chi fosse interessato al gender investing? Negli USA, ad esempio, dal 1993 è operativo il Women’s Equity Fund, al quale è possibile rivolgersi per ottenere degli investimenti. In Italia sono diversi gli strumenti utilizzati per investire nella parità di genere. Uno dei più noti è l’Ubs Asset Managment, che nel 2018 ha quotato il primo ETF (Exchange Traded Fund), proprio in merito alla questione.

L’Italia, pur avendo guadagnato 13 posizioni nella classifica del Global Gender Gap Report 2021, è solo sessantatreesima su 156 Paesi. Mentre per quanto riguarda la partecipazione al mercato del lavoro si slitta al 114esimo posto, fanalino di coda europeo. Infatti persistono le disparità di reddito e le donne in posizioni manageriali sono ancora poche.

Ricordiamoci che inoltre in Italia purtroppo, la differenza in busta paga fra uomo e donna è del 23,7% contro una media europea del 29,6%, con gli uomini che guadagnano in media circa 2.705 euro l’anno più delle donne. Tali dati provengono dalla ricerca “Il Gender Gap in Italia. Donne, Covid e futuro del lavoro: il ruolo del PNRR e del mondo dell’informazione” realizzata dalla Rome Business School secondo cui, per colmare il divario di genere in tutto il mondo, si dovrà attendere ben oltre 135 anni.

Da qui nasce la necessità per un maggiore empowerment femminile. La legge sulla parità salariale, rinominata “legge Gribaudo“, dal nome della deputata PD Chiara Gribaudo che l’ha proposta, spinge proprio in questa direzione. Il progetto di legge intende favorire la parità retributiva tra i sessi e sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Il testo modifica il codice delle pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, in modo da ridurre le differenze nei salari.

Informazione e iniziative di formazione (anche digitali, come l’app “Consapevoli & Indipendenti” di Global Thinking Foundation) sono fondamentali per colmare il divario di competenze e di partecipazione economico-finanziaria e sociale delle donne nel nostro Paese. Per approfondire la tematica, vi consigliamo di seguire Claudia Segre, Presidente di Global Thinking Foundation, nelle sue puntate di “Pillole di Finanza Sostenibile“.

Francesca Mazzini

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