Gennaio, Giovanni Pascoli: visioni simboliche e descrizione dell’inverno in versi

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Di Stella Grillo

Nello spazio dedicato alla Letteratura per l’Infanzia Gennaio, la poesia di Giovanni Pascoli nota anche come Nevicata. Paesaggi invernali, descrizioni e visioni simboliche in una riflessione sulla caducità dell’esistenza.

Gennaio, Giovanni Pascoli: i paesaggi invernali simbolo della transitorietà dell’esistenza

Gennaio Giovanni Pascoli - Credits :photocompetition.it
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Conosciuta anche con il titolo Nevicata, Gennaio di Giovanni Pascoli  è un componimento  pubblicato nel 1894, all’interno della raccolta Myricae; fra le più celebri raccolte di poesie del poeta di San Mauro di Romagna. Questa raccolta deve il suo nome a una delle frasi delle Bucoliche di Virgilio:

«(Non omnes) arbusta iuvant humilesque Myricae ».

Ovvero, “(Non a tutti) piacciono gli arbusti e le umili tamerici”. Con questo verso Virgilio intende dire che non a tutti piace la poesia semplice. In questo caso, Pascoli ne riprende il significato asserendo che la sua poesia è apparentemente semplice: una poesia fatta di piccole cose. Proprio come nei versi di Gennaio in cui, Giovanni Pascoli, sembra descrivere, apparentemente, una placida e sommessa giornata invernale.Tuttavia, i versi rivelano una visione simbolica del mondo che si struttura in un discorso dialogico basato sull’Io del poeta e la natura circostante.

Nevica: l’aria brulica di bianco;
la terra è bianca, neve sopra neve;
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco,
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera;
passano bimbi; un balbettio di pianto;
passa una madre; passa una preghiera!

Nella prima parte dei versi di Gennaio, il cui componimento si compone di due quartine di endecasillabi a rima alternata, Pascoli descrive con minuzia il paesaggio invernale che ha di fronte. Con suggestione introduce la neve che, come uno sciame di insetti, brulica nell’aria; tutto è coperto dal suo candore che si stratifica, copioso, sulla terra. Gennaio è il mese del gelo, in cui l’inverno di manifesta in tutta la sua rigidità; adesso, la neve avvolge ogni cosa ed è il candido a dominare il paesaggio. Il bianco, adesso, dipinge la realtà circostante; la avvolge e tutto sembra cristallizzato e immobile in quel momento. Solo un lieve fremito degli olmi, che gemono sotto la coltre bianca depositata sui rami al soffiare del vento. Con lo sguardo del fanciullino, tipico della poetica pascoliana, il poeta descrive il paesaggio invernale facendo confluire elementi visivi e sonori in una perfetta sintesi.

La decadenza del paesaggio invernale metafora della morte

Se la prima parte di Gennaio di Giovanni Pascoli presenta ai lettori un’immagine pura, leggiadra e a tratti serena, la seconda parte del componimento si avvia a una riflessione più profonda. Il vento gelido soffia impetuoso, ”schiantandosi” per le vie e confondendosi con i pianti e le preghiere degli uomini, nel solitario silenzio tipico delle giornate invernali di campagna. Successivamente, il poeta utilizza il verbo ”passare” servendosi dell’anafora come figura retorica. Questo verbo, ripetuto più volte, rimanda alla transitorietà dell’esistenza umana sulla terra; prima l’immagine dei bambini, poi un accenno di pianto, poi passa una madre: non è la madre di quei bimbi, ma la madre di qualcun altro. Tutti, però, solcano la bufera passando attraverso di essa, colmando quel momento di pianto o suppliche.

Il passaggio delle figure umane attraverso la tempesta, la furia gelata del vento ghiacciato tipico di gennaio e dell’inverno intero, è una palese metafora allo scorrere della vita dell’uomo. L’esistenza umana transita attraverso le difficoltà per poi giungere a un epilogo che, prima o poi, tocca a tutti ,ovvero la morte; situazione non espressamente citata, in questo caso, dal Pascoli ma a cui rimandano gli atteggiamenti di pianto e preghiera. Il niveo colore non è più simbolo di candore, ma è foriero della fine umana dell’esistenza. Gennaio e la potenza invernale che si esplica in questo mese simboleggiano, quindi, la brevità dell’esistenza; la morte che nell’inverno e nel paesaggio smorto si riflette.

Stella Grillo

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