George Harrison (Liverpool 25 Febbraio 1943 – Los Angeles, 29 Novembre 2001) è noto come “The quiete one” dei Beatles. Il tipo tranquillo, perché dei Fab Four era lui quello più introverso e meditabondo. Eppure, il contributo di Harrison alla musica dei “Baronetti di Liverpool” è stato enorme. Il chitarrista e cantante, ha firmato, tra gli altri immortali brani dei Beatles, anche la magnifica While My Guitar Gently Weeps. Ma George Harrison è stato molto di più di un Beatle. Già dal 1965, l’artista ha cominciato a lottare per affermarsi come autore, cercando di sottrarsi all’ingombrante binomio Lennon-McCartney.
Ha pubblicato i suoi primi lavori indipendenti ancor prima del definitivo scioglimento del quartetto, ma senza alcun successo commerciale. La consacrazione solista è arrivata invece nel 1970, col suo terzo disco, l’ambizioso e pienamente maturo All Things Must Pass. L’album contiene la hit My Sweet Lord. Poi l’ex Beatle ha conosciuto altri successi – con il ritorno al rock classico, segnato da brani come Blow Away (1979) e Got My Mind Set On You (1987) – ma ha anche attraversato profonde crisi. Ripercorriamo insieme la vita e la carriera di George Harrison, interrotte a 58 anni da un tumore. È stato un artista straordinario, che ci ha regalato una musica sempre in equilibrio tra rock e spiritualità.
George Harrison, le origini nella Liverpool proletaria
Mia madre era cattolica, mio padre no; dicevano sempre che chi non era cattolico era protestante, ma lui sembrava che non fosse di nessuna chiesa (George Harrison, The Beatles Anthology; Rizzoli, Milano, 2010)
George Harrison nasce a Liverpool il 25 Febbraio del 1943. La sua famiglia è di origini proletarie. Il padre è autista di autobus e la madre lavora in una drogheria. George è il più piccolo e il più timido di quattro figli. I genitori notano molto presto la sua passione per la musica e, in particolare, per le chitarre. Il ragazzo riceve così la sua prima chitarra nel 1957, una Gretsch modello “Duo Jet” di seconda mano. Harrison resta molto legato a questo strumento. Molti anni dopo, fa restaurare la chitarra e la mostra orgogliosamente sulla copertina dell’album Cloud Nine (1987).
George inizia già da adolescente a suonare con il fratello maggiore e alcuni amici, formando il gruppo dilettantistico dei Rebels. Intanto, lavora come elettricista. Di giorno in giorno, in Inghilterra stanno nascendo tante nuove band. Alcune di queste, contattano il giovane George, colpite dalla sua precoce abilità di chitarrista. La svolta arriva nel 1958, quando Harrison, con pochi accordi di chitarra suonati su un bus, durante una gita scolastica, convince del suo talento un compagno di scuola, di nome … Paul McCartney.
Lo scioglimento dei Quarrymen e l’inizio della leggenda dei Beatles
Paul, che suona nei Quarrymen, parla immediatamente di George al leader della band, tale John Lennon. È l’inizio della leggenda. Il chitarrista deve superare la resistenza iniziale di Lennon, che lo ritiene troppo giovane per entrare nel suo gruppo. Poi però John capisce che la bravura di Harrison è necessaria alla crescita musicale del complesso. I Quarrymen, prima band fondata da John Lennon, si sciolgono nel 1959. In seguito, continuano ad esistere con continue variazioni di nome e membri. Rinascono nel 1997 e occasionalmente suonano ancora oggi.
Ma ciò che più conta, per la storia della musica, sono le conseguenze della rottura della formazione originaria dei Quarrymen, ovvero i giovanissimi compagni e amici John, Paul e George. I tre, agli inizi del 1960, si ribattezzano “The Beatles”. Il nome viene ideato da Lennon e Stuart Sutcliffe, uno studente dello stesso istituto d’arte frequentato da John. Al nuovo gruppo, si aggiunge nel 1962 il batterista Ringo Starr, che sostituisce Pete Best. È nato il gruppo rock più influente e innovativo del XX secolo. George Harrison, da subito, è destinato a dover crescere all’ombra di John e Paul.
Harrison e il suo grande contributo all’evoluzione musicale dei Beatles
I Beatles non hanno bisogno di presentazioni. Quello che forse a volte non viene ricordato abbastanza, è invece il grande contributo che George Harrison ha dato alla loro evoluzione musicale. È grazie alla chitarra del “terzo Beatle” che il sound della band britannica più famosa di sempre si è svecchiato, assumendo una precisa connotazione. Harrison è alla continua ricerca del nuovo. Propone ai compagni di andare oltre i poveri ritmi dello skiffle, sorta di rock ‘n roll “degli inizi” con influenze folk, country e blues, che caratterizzava gli ex Quarrymen. Da alla chitarra elettrica un ruolo più predominante.
Durante gli anni trascorsi con i Beatles, George non è solo il chitarrista solista della band: realizza venticinque canzoni. In alcune di queste canta. Senza di lui, non avremmo avuto quel dolcissimo e intenso capolavoro che è While My Guitar Gently Weeps. O l’allegro e contagioso motivo di Here Comes The Sun. E neppure la romantica Something. Senza George Harrison, i Beatles, semplicemente, non sarebbero stati quelli che tutti conosciamo. La grandezza di George Harrison, è però sempre oscurata dalla coppia Lennon-McCartney. L’incandescente nucleo fondatore dei Beatles. Un’eterna lotta tra giganti, che lascia poco spazio agli altri due Beatles.
George Harrison trova grazie all’Oriente una propria identità musicale
Durante il primo periodo di attività dei Beatles, la figura del timido George Harrison resta dunque in secondo piano. A partire dal 1965, il musicista avverte la necessità di emergere come identità musicale singola. L’opportunità arriva quando, in quest’anno, Harrison conosce il maestro indiano Ravi Shankar, con cui inizia a studiare e suonare il sitar. L’interesse per l’Oriente, cambia totalmente il modo di comporre del chitarrista e contagia in parte anche Lennon e McCartney. Ma la passione non si limita alla sfera musicale: spinge George a convertirsi alla religione induista. L’influenza della meditazione e dell’induismo – ma anche delle esperienze con l’LSD – si fanno evidenti in molte tracce dei Beatles e nei successivi lavori da solista.
A metà degli anni ’60, Harrison è ormai diventato un riferimento per molti chitarristi dell’epoca e assume un ruolo di primo piano nella band, sia come chitarrista che come autore. È tra i primi ad innestare strumenti orientali nel rock. Durante la permanenza con i Fab Four, George inserisce il sitar e/o altri strumenti asiatici nelle canzoni Norwegian Wood (This Bird Has Flown) (1965), Love You To (1966), Within You Without You (1967) e The Inner Light (1968). Le tensioni interne ai Beatles, intanto, si fanno insostenibili, per tutti. George approfitta della prima crepa nel gruppo, causata soprattutto dai suoi continui viaggi in India, per poter finalmente dar libero sfogo al suo talento troppo sacrificato.
La consacrazione solista con All Things Must Pass, nel 1970
Dovevo sempre aspettare dieci delle loro prima che anche solo ascoltassero una delle mie canzoni. Questa è la ragione per cui “All Things Must Pass” aveva così tanti pezzi, perché era come se fossi costipato (George Harrison)
Il tentativo di Harrison di affermarsi definitivamente come autore indipendente, si concretizza alla fine degli anni ’60, con l’uscita dei suoi primi album da solista. Sono Wonderwall Music (1968) ed Electronic Sounds (1969). Pur avendo interessanti spunti sperimentali, i due dischi non hanno successo di vendite. Poi arriva la scioccante e definitiva parola fine per la clamorosa parabola dei Beatles. È il 1970. George ha solo 27 anni e tanta musica nel cassetto. Quello che per il mondo della musica appare come un lutto incolmabile, per il chitarrista si rivela una liberazione quasi fisiologica.
Il risultato di questa rinascita, è concentrato nelle ben 23 tracce che compongono il terzo album solista. Il titolo dell’opera, uscita nel 1970, è significativamente All Things Must Pass, ogni cosa deve passare. Anche i Beatles. Harrison dichiara: “Qualsiasi cosa che abbiamo fatto c’è ancora e ci sarà per sempre. Ma la mia vita non è cominciata con i Beatles e non è finita con loro”. All Things Must Pass, non sarebbe lo stesso se non parlasse appunto della liberazione interiore ed esteriore di un artista incompreso. Le ottime canzoni, anche se risalgono al periodo beatlesiano del chitarrista, si discostano dal tipico sound dei Fab Four. Le sonorità sono di matrice folk, con venature orientaleggianti. Per All Things Must Pass, Harrison si avvale della produzione di Phil Spector e della collaborazione di importanti musicisti, tra cui il collega Ringo Starr ed Eric Clapton.
My Sweet Lord e The Concert for Bangladesh
Quando esce All Things Must Pass, la critica resta piacevolmente sorpresa. Il talento di un chitarrista e autore a lungo sottovalutato, è finalmente sotto gli occhi di tutti. L’album ottiene anche un notevole successo di pubblico e vendite: circa 7 milioni di copie in tutto il mondo. Il pezzo forte del disco è il singolo pop My Sweet Lord, che arriva primo nella Billboard Hot 100. Nella canzone, Harrison inserisce, tra un Alleluia e l’altro, anche “Hare Krishna”, un mantra indiano praticato in diverse scuole viṣṇuite/kṛṣṇaite. Il dichiarato intento dell’autore, è portare chi l’ascolta a cantare indistintamente le due espressioni appartenenti a credi diversi, presi quasi inconsciamente dal ritmo trascinante.
Al successo della canzone, segue però un accusa di plagio. My Sweet Lord viene infatti accusata di avere una melodia troppo simile a He’s So Fine, successo dei Chiffons dei primi anni ’60. La lunghissima causa è trascinata in tribunale sino al 1990. Dopo il pagamento di una pesante multa e varie vicissitudini, Harrison infine si vede riconosciuti i diritti della canzone. Dopo My Sweet Lord, la canzone che gli regala maggior successo in assoluto, il chitarrista continua i suoi viaggi in Oriente. Nell’estate del 1971 organizza col maestro Ravi Shanka un concerto di beneficienza nel Bangladesh. L’evento ha una risonanza mondiale e registra il “tutto esaurito”, anche grazie alla presenza di ospiti illustri. Tra gli altri, Bob Dylan, Eric Clapton e Ringo Starr.
George Harrison, l’ultimo ventennio tra cadute e rinascite
Dopo molti anni di successi e iniziative benefiche, Harrison si dedica soprattutto alla produzione cinematografica. Ottieni buoni successi internazionali, specialmente come produttore esecutivo dei film dei Monty Python. Nonostante il successo, Harrison si sente sempre più in difficoltà, per le pressioni subite dai capi del business musicale, di cui suo malgrado, fa parte. Gone Troppo, uscito nel 1982, è un totale insuccesso. Nasce solo per far fronte all’ultimo obbligo contrattuale con la Warner Brothers, e George non vuole effettuare alcuna promozione. Per buona parte della prima metà degli anni ’80, Harrison resta lontano dalle cronache e si dedica solo al cinema. Torna sulle scene nel 1987, con Cloud Nine, che lo riporta al successo e ai fasti di un tempo.
La hit di quest’album (il penultimo) è Got My Mind Set On You. Ottiene un buon successo anche When We Was Fab, un chiara evocazione dei bei tempi andati coi Beatles. Nel 1988, Harrison fonda i Traveling Wilburys. Il supergruppo vede, insieme al chitarrista: Bob Dylan, Tom Petty, Jeff Lynne e Roy Orbison. Questa collaborazione, segna un gioioso seppur breve momento artistico. Negli anni seguenti, tornano alcuni momenti difficili, tra problemi finanziari, strascichi legali e un tumore alla gola nel 1998. Nonostante viva lontano dallo star-system, si potrebbe dire che Harrison venga colpito da quella che può definirsi la “maledizione dei Beatles”. Nel 1999, il musicista rischia di morire. Nella notte, uno squilibrato fa irruzione nella residenza vicino Oxford di George Harrison e lo pugnala dieci volte al torace. Lo salva la moglie Olivia, che colpisce l’aggressore con una lampada in testa.
La morte di George Harrison
Dopo la violenta aggressione nel 1999, Harrison si ritira ancora più a vita privata. Lavora su rimasterizzazioni dei suoi lavori precedenti, ma le sue condizioni di salute tornano ad essere preoccupanti. Guarito dal tumore alla gola, George infatti si ammala di nuovo. Trapelano voci su un altro cancro, stavolta al cervello. La malattia è confermata solo a Luglio del 2001, quattro mesi prima della morte dell’artista. Harrison scompare il 29 Novembre del 2001 a Los Angeles, nella villa dell’amico e collega Ringo Starr.
Il corpo, come da tradizione induista, viene cremato e le ceneri sparse nel Gange, fiume sacro indiano, secondo le ultime volontà dell’artista inglese. In un comunicato diffuso dopo la morte, la famiglia ha ricordato Harrison con queste parole: “Ha lasciato questo mondo come aveva vissuto, pensando a Dio, senza paura della morte, in pace e circondato dalla famiglia e dai suoi amici. Spesso diceva: Tutto può aspettare ma la ricerca di Dio no. E neppure l’amore reciproco”.
A cura di Valeria Salamone
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