I care a lot: il thriller con Rosamund Pike che racconta la società americana

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Di Redazione Metropolitan

Uscito il 19 Febbraio su Prime Italia, “I care a lot” è il nuovo film di J Blakeson di cui tutti parlano. In questa commedia thriller Rosamund Pike torna a vestire i panni della criminale, interpretando Marla Grayson, una truffatrice che convince il giudice a farsi affidare la tutela di anziani dichiarati incapaci di intendere e di volere per appropriarsi dei loro beni. La Grayson un giorno prende di mira un’anziana senza famiglia e molto ricca, Jennifer Peterson: apparentemente la preda perfetta. Tuttavia la donna non si rivela la preda facile che era sembrata a primo impatto. Creerà infatti non pochi problemi a Marla, mettendo in seria difficoltà l’organizzata società della truffa da lei creata.

La terza opera di Blakeson ha riscosso un grande successo in tutto il mondo. Candidata nella sezione Miglior Film Commedia o Musicale ai Golden Globe 2021, ha visto il trionfo di Rosamund Pike nella categoria Miglior Attrice del medesimo premio. La Pike, infatti, è proprio il valore aggiunto del film del regista britannico. L’attrice regala una grande interpretazione e dimostra di saper vestire bene i panni della criminale psicopatica, come era già accaduto in “Gone Girl”. Meno convincente è sicuramente la sceneggiatura, sia da un punto di vista di contenuti, sia di verosimiglianza. Blakeson, infatti, sfrutta tutti gli stereotipi del genere senza aggiungere niente di nuovo. Anzi, li cala in situazioni assolutamente surreali, arrivando ad inserire nella trama di questa commedia dalle tinte crime e thriller, anche la mafia russa.

Trailer del film

Il personaggio di Marla, protagonista di “I care a lot”

Quello di Marla Greyson è indubbiamente un personaggio affascinante, ma a cui manca qualcosa. Nonostante la Pike riesca a darle delle sfumature interessanti, infatti sembra proprio che in sceneggiatura qualcosa non vada. Nel monologo iniziale, ma anche in altri momenti del film, il regista ci lascia intendere che lei sia diventata affamata di denaro a causa di un vissuto drammatico: era infatti cresciuta in povertà. Di qui lo spettatore si aspetta qualcosa in più sul suo passato: l’indizio iniziale che ci viene dato sembra una promessa, quella di poter avere più notizie sul suo vissuto nel corso del film.

Ma questo non accade, e dunque il rapporto tra lo spettatore e il personaggio di Marla resta in bilico. Tra l’altro, se l’elemento sul suo passato poteva suggerire che lo spettatore potesse entrare in empatia con il personaggio, andando avanti con il film non sembra che Blakeson voglia che proviamo empatia per lei, non per il suo passato almeno. Ma allora perché seminare indizi così importanti sul suo vissuto? Mistero.

Quello che sembra voler creare il regista è un personaggio piuttosto stereotipato, tipico del genere. Ma allo stesso tempo Blakeson desidera aggiungere qualcosa di nuovo alla sua protagonista che, bisogna ricordarlo, è una donna. E dunque le mette in bocca frasi femministe che poco c’entrano con le situazioni che si verificano nel film, e vengono pronunciate fuori contesto per far intendere allo spettatore che lei subisce attacchi e minacce a destra e a manca solo perché è una donna. O magari sarà perché è una criminale che fa cose bruttissime?

Un frame da "I care a lot" - Photo Credits: Taiwan news
Un frame da “I care a lot” – Photo Credits: Taiwan news

Il femminismo forzato del regista

Il femminismo forzato del regista fa comprendere subito cosa si intende quando si parla di “male gaze” (sguardo maschile). Lei è un personaggio che viene completamente calato nelle vesti di un uomo, seguendo lo stereotipo del genere crime. Ed è così bidimensionale che potrebbe essere uomo, donna, o nessuno dei due, e non farebbe alcuna differenza. Il femminismo non è far pronunciare al personaggio frasi fatte e assolutamente didascaliche su quanto sia difficile essere una donna, ma costruirlo e dargli un vissuto più vicino a quello di una donna che cresce in una società patriarcale, inserendolo in dinamiche ben diverse dalle solite.

Fastidiosa anche la divisione, molto evidente, fra i “buoni”, o almeno coloro per cui dovremmo tifare, che sono tutte donne, e i “cattivi”, che sono quasi tutti uomini. Una scelta che non sembra casuale, e che mostra ancora una volta come il regista sia stato superficiale nel voler dare un taglio più “al passo con le battaglie dei nostri tempi” ad un film del genere, senza davvero comprendere cosa significa ciò di cui sta parlando.

Rosamund Pike in una scena di "I care a lot" - Photo Credits: Collider
Rosamund Pike in una scena di “I care a lot” – Photo Credits: Collider

Lo stile e la sceneggiatura di Blakeson

Lo stile registico di Blakeson non è d’autore, ma è nel complesso abbastanza gradevole. Il taglio di “I care a lot” inizialmente è molto da commedia e pian piano diventa più da thriller. Inquadrature veloci, alcune sequenze accompagnate da una lunga musica, e uno stile nel complesso semplice e diretto. Il ritmo del film è inizialmente molto veloce, per poi calare pian piano e perdersi nel mezzo, ritrovandosi solo verso la fine.

Blakeson si affida al voice over di Marla nel momento iniziale e finale della storia. Dunque quando bisogna mettere le basi e quando bisogna tirare le somme, in modo abbastanza didascalico. Evidente, soprattutto nel monologo finale, una critica al capitalismo e alla società odierna, che risulta l’elemento tematicamente comunicato al meglio dal regista. La storia raccontata, infatti, non è altro che uno specchio degli USA di oggi, dove vengono premiati sempre i criminali a discapito della brava gente. E Blakeson questo messaggio ce lo suggerisce anche durante lo scambio tra Marla e l’avvocato, quando lui le dice che la sua società della truffa non è altro che il sogno americano portato al suo estremo.

Come già accennato, la sceneggiatura riprende tutti gli stereotipi e le dinamiche del genere di riferimento, iniziando con un tono e cambiandolo pian piano. Dalla commedia al thriller, passando per un genere più crime. Il regista non aggiunge niente di nuovo, che è ciò di cui avremmo bisogno oggi, ma realizza l’ennesimo film con una dinamica di buoni contro cattivi, bianco e nero. Alcune scene risultano assolutamente inverosimili: dal coinvolgimento improvviso della mafia russa, alla minaccia di morte fatta a Marla in un dialogo con l’avvocato di Jennifer assolutamente improbabile, fino a un assurdo salvataggio da morte certa. Anche tutta la vicenda, seppur le premesse da cui il regista è partito siano interessanti, è costruita in modo poco credibile sin dal principio. Insomma, quello di Blakeson è un esercizio di stile con una sceneggiatura traballante, niente di più.

“I care a lot”: un film godibile nonostante i suoi difetti

Nonostante questo, però, se guardato nel complesso “I care a lot” risulta godibile. Il buon ritmo, che incespica un po’ nel mezzo, permette infatti allo spettatore di godersi due ore di buon intrattenimento senza grandi pretese. Inoltre la pellicola è ben recitata, non solo dalla già citata Rosamund Pike, ma anche dai suoi colleghi Peter Dinklage, Eiza Gonzàlez e Dianne Wiest. Si tratta insomma di un’opera che, come un quadro impressionista, va vista e apprezzata da lontano nel suo complesso, ma che se analizzata nello specifico rivela le sue falle.

Paola Maria D’Agnone

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