Il ruolo di Donatello, prefigurazioni artistiche oltre il Quattrocento

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Di Alessia Ceci

Donato di Niccolò di Betto Bardi, soprannominato Donatello, nasce (nel 1386) e muore a Firenze il 13 dicembre 1466. E’ considerato – con Filippo Brunelleschi maestro di architettura e a Masaccio di pittura – il padre della scultura del Rinascimento fiorentino, nonché anticipatore di innovative soluzioni artistiche. Quando si parla di Rinascimento ci si dimentica che ce ne furono vari, tanti quante le arti e le discipline, con i loro rispettivi maestri. Firenze, in quegli anni, stava vivendo infatti l’importante ascesa di un’élite di banchieri e commercianti che avrebbero trasformato la città in un eden per artisti, tra cui Donatello.

Donatello agli esordi

Basamento della scultura di San Giorgio a Orsanmichele, esempio di ''stiacciato''
Crediti: diariodellarte.it
Basamento della scultura di San Giorgio a Orsanmichele, esempio di ”stiacciato”

Sappiamo poco dei primi anni di Donatello e quasi tutto grazie a Le vite di Giorgio Vasari; dal testo cardine sulle biografie degli artisti proviene infatti il soprannome. Discendente di una famiglia di artigiani della lana, fece il suo ingresso nel mondo dell’arte quando i Martelli – antica famiglia dell’aristocrazia fiorentina – cominciarono ad occuparsi della sua educazione. A quindici anni iniziò a lavorare come apprendista di una bottega di oreficeria di Pistoia insieme a un altro aiutante molto più grande di lui: Filippo Brunelleschi.

Tra i due nacque un’amicizia basata sulla comune passione per l’arte antica, che li spinse ad intraprendere un viaggio a Roma. Rimasero per due anni nella Città Eterna, a studiare monumenti e sculture. Nel 1404 terminò l’avventura romana e Donatello fece ritorno a Firenze dove entrò a far parte del laboratorio di Lorenzo Ghiberti, maestro di oreficeria. Proprio a seguito della proficua collaborazione con Ghiberti, ricevette incarichi importanti, uno per il complesso di Santa Maria del Fiore e l’altro per la chiesa di Orsanmichele.

Sperimentazione e innovazione nella scultura

A Donatello – che in quel momento aveva già sviluppato una predilezione per la scultura e il rilievo – venne richiesto di elaborare diverse statue per le nicchie delle facciate. Tra il 1411 e il 1417 lavorò a due sculture per Orsanmichele , quelle di San Marco e di San Giorgio. Le figure, realizzate in marmo, ricordavano più le statue romane che quelle del Medioevo. Riscossero così tanto successo che gliene furono immediatamente commissionate altre per decorare le nicchie del campanile della cattedrale.

 Ispirato da ciò che aveva visto a Roma, creò figure colme di dettagli. Evocavano così il vecchio stile delle sculture romane e catturarono subito l’attenzione del suo maestro e dei suoi clienti. In quei primi lavori emerse una caratteristica: il desiderio di sperimentare costantemente. L’indole sperimentale raggiunse il punto più alto con l’innovativa tecnica dello ‘’stiacciato’’. Quest’ultima consisteva nel variare di pochi millimetri lo spessore dei bassissimi rilievi, creando effetti d’ombra e dando una profondità prospettica  del volume reale dei corpi mai vista prima.

Lo spartiacque Cosimo il Vecchio: il passaggio dal marmo al bronzo

Tra le fortune di Donatello ci fu anche una favorevole coincidenza, l’artista si trovò a lavorare a Firenze nel periodo in cui Cosimo il Vecchio divenne il capofamiglia dei Medici. Cosimo era uno dei banchieri più importanti di Firenze e investì gran parte della sua ricchezza in opere pubbliche per guadagnare influenza politica. Aveva conosciuto l’artista tre anni prima e lo apprezzava a tal punto da chiedergli quella che sarebbe diventata una delle sue sculture più note, il David. Concepito inizialmente per decorare il cortile del Palazzo Medici-Riccardi, suscitò una grande polemica perché rappresentava l’eroe biblico completamente nudo e venne tacciato di blasfemia. Ma il David, del 1440 circa, fu anche la prima opera in bronzo della maturità, anche se da giovane aveva già lavorato con questo materiale.

Fu proprio il David che lo portò lontano da Firenze per un periodo piuttosto lungo. Il bronzo era infatti un materiale caro e a Firenze si preferiva il marmo per le opere pubbliche, in linea con la solennità delle sculture antiche e in sintonia con la moda del tempo. Così nel 1443 Donatello partì alla volta di Padova, ormai assorbita nell’orbita della Repubblica di Venezia, con l’incarico di realizzare un monumento funebre in onore del condottiero Gattamelata. Proprio la possibilità di continuare  a lavorare un materiale così pregiato – ma al contempo poco apprezzato – come il bronzo lo trattenne a Padova per dieci anni, prima di far ritorno a Firenze nel 1454.

Cosa rende speciale Donatello?

l ruolo di Donatello è cruciale non solo per il Quattrocento poichè l’artista compie un vero ribaltamento culturale, i cui riflessi sull’immaginario occidentale continuarono per secoli. Donatello rappresenta un unicum nel suo modo di intendere l’antico, nel sovvertire il rapporto tra figure e pubblico, nel giocare con i tempi della rappresentazione. Quello che lo rende speciale è la capacità di prefigurare soluzioni innovativa, che saranno comprese solo nel Cinquecento, nell’Ottocento o nel Novecento – seppur senza l’intenzione di rifarsi a precedenti donatelliani.

A conferma di ciò si può citare la conclusione della «Vita» di Donatello ne Le Vite di Vasari. Il celebre biografo riporta quel che Vincenzo Borghini, trovandosi di fronte a due «carte» di disegni «di mano di Donato e di Michelagnolo Bonarroti», scherzosamente disse:

«O lo spirito di Donato opera nel Buonarroto, o quello di Buonarroto anticipò di operare in Donato».

Tra gli artisti contemporanei che seppero cogliere la sua lezione, oltre agli allievi diretti come Agostino di Duccio, ci sono infatti Masaccio, Mantegna, e poi Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Fra Bartolomeo, Jacopo Sansovino, Benvenuto Cellini. E anche i maestri del secolo successivo. Pontormo, ad esempio, che guarda all’Annunciazione Cavalcanti di Donatello quando affresca la lunetta con Vertumno e Pomona nella Villa di Poggio a Cajano, come testimoniano alcuni disegni preparatori conservati agli Uffizi.

Torti ed equivoci, come ridare luce a Donatello

Eppure in un brano privato della corrispondenza di Lorenzo il Magnifico, Gentile de’ Becchi, suo precettore, proprio a proposito della Villa di Poggio a Cajano, lo invita a ‘’non fare’’ come Donatello. Con queste parole intende riconoscere una certa trascuratezza nel saper «bozzare» del’artista, prova che la «sprezzatura» donatelliana, tanto amata nel Cinquecento, era troppo avanti per il Quattrocento. Ma il torto maggiore che si fa a Donatello è di non riconoscere la sua maestria nella resa della prospettiva, non solo nella rappresentazione di storie in rilievo ma soprattutto nelle statue.

Le sculture a tutto tondo di Donatello vanno infatti considerate in rapporto allo sguardo originario dell’osservatore e il non tenerne conto genera gravi equivoci. Il David non è un giovinetto gracile, dallo sguardo timido, perché quella statua era in origine su una colonna. Si vedeva dal basso, trionfante, in maniera totalmente diversa rispetto a oggi. Lo stesso si può dire del Marzocco, il leone protettore di Firenze, conservato al Bargello. La bestia poggia con negligenza una zampa sullo scudo pubblico, ma il suo sguardo in origine era proiettato verso l’infinito. La scultura era infatti collocata sopra una colonna, ai piedi dello scalone dell’appartamento papale in Santa Maria Novella e non sembrava certo un tenero felino.

Gli ultimi anni

Per riavvolgere in nastro, gli ultimi anni di vita di Donatello non furono facili. Troppo vecchio e malato non riuscì a completare gli incarichi. Si tratta dei celebri pulpiti bronzei della Passione e della Resurrezione per la basilica di San Lorenzo, affidati poi probabilmente ai suoi discepoli Bartolomeo Bellano e Bertoldo di Giovanni. Morì il 13 dicembre 1466, a ottant’anni e gli venne concesso un grande onore: fu sepolto sotto l’altare della basilica di San Lorenzo. Una posizione di prestigio che nemmeno Cosimo de’Medici – sepolto nella cripta della basilica – aveva occupato. Un riconoscimento funebre altamente simbolico, che ancora oggi mantiene vivo il ricordo di un artista a suo modo rivoluzionario.

Alessia Ceci

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