Un intellettuale, di sinistra, scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, critico della società che lo circondava e di cui faceva “violentemente” parte, nato nel 1922: non stiamo parlando di Pasolini, ma di Aldo Braibanti, raccontato nell’ultima fatica di Gianni Amelio, il Signore delle Formiche, presentato in concorso al Festival del Cinema di Venezia. Un intellettuale “eretico”, colpevole di esserlo in un Italia ancora acerba, fatta di repressione e di processi costruiti per screditare personalità scomode, dove l’omosessualità porta la macchia della malattia. Acerba, sì, ma viscerale, violenta, anche dolce, quello del miele selvatico: di una forza che investe anche il PCI, che si fa moralista davanti al processo che è raccontato nella pellicola di Amelio. Un’altra opera “di conflitto” del regista, che ci confina nella mente e nella vita di personalità che vivono nel margine, nella solitudine del confine tra gli schieramenti: dal Craxi di Hammamet fino a Braibanti.
Aldo Braibanti, un’altra personalità isolata dal proprio “essere” eretico: la storia dietro “Il Signore delle Formiche”
Quello raccontato dalla pellicola di Gianni Amelio è il processo per plagio subito da Braibanti durante il soggiorno romano. Un processo costruito dal padre di Giovanni Sanfratello, allievo e amante di Braibanti, volto a screditare l’immagine dell’intellettuale e allontanarlo dal figlio, proveniente da una famiglia piacentina “ultraconservatore, cattolica e per di più fascista”. Un processo, come si usava allora, in un sistema che non punisce esplicitamente l’omosessualità; in cui il PCI esercitò una forte censura ideologica attraverso le pagine dell’Unità, che non dovevano mai contenere le parole “omossessuale” e “Partito Comunista” nello stesso articolo. Un isolamento, quello di Aldo Braibanti che è l’estraneità a un mondo avverso a cui ci si sente comunque di appartenere: un conflitto che da ideologico diventa esistenziale. E come ogni conflitto esistenziale si risolve che la semplice, ma assoluta, pretesa di esistere.
In un esistenza, raccontata nella pellicola di Amelio, che ha la dolcezza della campagna emiliana e il duro, violento stratificarsi di una società oppressiva che la famiglia del giovane amante di Braibanti rappresenta in primis. Luigi Lo Cascio rappresenta qui una personalità che abbiamo detto “di confine”, e che ha parlato del film come di “una storia di diritti negati che non conoscevamo”, tanto facile da essere oscurata da quella, titanica, pasoliniana. Film insomma che vuole leggere oltre la natura della morale del nostro paese in un periodo che è meno lontano di quanto sembra. Oltre al protagonistico Lo Cascio, nella pellicola anche Elio Germano, Sara Serraiocco, Valerio Binasco. Presentato al Festival del Cinema di Venezia, presto anche nelle sale del Paese.
Alberto Alessi
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