Cultura

“Il terremoto di Vanja” di Vinicio Marchioni

Il pensiero dell’intellettuale visionario russo applicato all’Italia delle macerie: il bel cinema italiano nel lungometraggio “Il terremoto di Vanja”

Dopo aver scandagliato il pensiero di Anton Checov da cui ha tratto un’opera teatrale “Uno Zio Vanja“, Vinicio Marchioni ha voluto rappresentarlo con il punto di vista di chi vive nelle macerie di Amatrice, Accumoli e degli altri paesi dell’Italia centrale distrutti dal terremoto del 2016.

“Siamo andati ad Amatrice, poi con Milena Mancini nelle Marche e tutti quelli con cui parlavamo ci sembravano i protagonisti dell’opera di Anton Chekov. Percepivamo un senso di isolamento come i personaggi di Checov. Ecco che quindi abbiamo rappresentato i personaggi non nella Russia dell’1800 ma nei teatri dei paesini distrutti”.

Il regista, infatti, ha deciso di mostrare le “macerie” proprio davanti a chi il terremoto lo ha subito direttamente e chi ha perso tutta la propria vita in una notte. Il film, infatti, applica la storia di Checov ad una famiglia delle Marche che non aveva avuto intenzione di allontanarsi dalla zona in cui era crollata la propria casa.

Ma il “Terremoto di Vanja” non è solo il resoconto di una tournée: è il risultato dell’interpretazione e della comprensione degli ideali dello scrittore russo, raccontati nel film dalla voce di Toni Servillo, applicati alla situazione del terremoto in Italia, ambientati nei luoghi russi.

Il docufilm non è quindi limitato al teatro, ma indaga il pensiero di Checov nella sua terra natale e attraverso il suo modo tragicomico di vedere la realtà, esplora le città devastate dal terremoto, rappresentando sul grande schermo:

“una storia di resistenza: quella dei terremotati, che raccontano il momento in cui la loro vita si è “spezzata in due”, e di un gruppo di teatranti che non cede al degrado culturale che lo circonda, anche se significa andare in scena con il trucco fatto con il bianchetto”.

Il terremoto di Vanja - la locandina
Il terremoto di Vanja – la locandina

Il ritmo fluido e il gusto estetico del docufilm arricchiscono la storia narrata attraverso immagini con un finale naturale: la rappresentazione a L’Aquila dell’ultimo data del tour. Si percepisce l’amore da parte di Vinicio Marchioni e della sua troupe per il pensiero di Checov e il teatro e la volontà di divulgarli per abolire la credenza che l’autore russo sia per pochi, quando invece, afferma il regista, è alla portata di tutti. Il regista, infatti, si pone al servizio del pubblico, narrando con umiltà il viaggio nella distruzione, lasciando da parte gli applausi.

Marchioni è regista e coautore di soggetto e sceneggiatura, insieme alla sua compagna Milena Mancini, a Igor Artibani e Pepsy Romanoff. Letizia Russo si occupa dell’adattamento del testo originale. Per la fotografia figurano i nomi di Pepsy Romanoff ed Emanuele Cerri che, come il montaggio di Ruggero Longoni, narrano tramite riprese di scena e di backstage, ma anche di sopralluoghi nelle zone terremotate e nella Russia di Checov, di interviste al docente di letteratura russa Fausto Malcovati, ai registi Salavtores e Adrej Konchalovskij, autore del 1970 e di racconti delle vittime del terremoto.

Claudia Colabono

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