Federico Ceruso, in arte “Pepemaniak“, è un artista, tatuatore, designer, stilista romano. Quest’artista poliedrico è un eccellente esempio di come una giovane generazione di creativi sta affrontando la produzione artistica in un periodo storico che si preannuncia complicato per l’arte contemporanea. Pepemaniak concentra la sua pratica principalmente nella rappresentazione pittorica di personaggi iconici del capitalismo, come i Looney Tunes.
Il connubio fra le immagini di animaletti Disney e di giornali pornografici degli anni ’90 crea una rappresentazione ibrida dell’immaginario comune. Osservando un lavoro di Pepemaniak, l’occhio dello spettatore viene galvanizzato simultaneamente dagli archetipi di morale Disney, e da un impulso sessuale e adolescenziale. Pepemaniak porta avanti progetti nel mondo della moda, entrando a contatto con brand internazionali come Adidas, Tein Clothing e Guidi. Nel 2019, espone durante l’art week a Miami, insieme allo street artist Abva. Tuttora Ceruso continua la sua produzione, avendo come musa ispiratrice la sperimentazione continua.
M.M. Che cosa sono i cartoon?
F.C. Sono la prima forma di espressione multidisciplinare. Sono una delle prime ‘realtà fittizie’ che ci si presentano quando siamo bambini. Una strada diretta per l’immaginazione. Il cartone, infatti, non è schiavo delle stesse leggi che si impongono nella scrittura e nei film per renderne la storia comprensibile, ma sono liberi di dipingere il fantastico ed entrare in sincronia con la fantasia più primitiva e personale. I cartoni non sono fatti per bambini.
M.M. Tu sei conosciuto per avere integrato nella tua pratica artistica l’utilizzo dei social come una forma d’arte. Parlami del rapporto fra social network e arte.
F.C. L’arte contemporanea, e tutti i personaggi vicini a quest’ultima, sono alla disperata ricerca di integrare il lavoro artistico all’interno dei social network. Molti artisti, come me, hanno usato le piattaforme social con l’intento di essere accettato, o notato da un sistema dell’arte chiuso e molto spesso non aperto al lavoro di giovani artisti. Una vetrina per tutti. Tramite i social è possibile scavalcare persino le dinamiche di compravendita, che fino a poco fa erano ristrette a gallerie e musei. Ora invece gli artisti possono vendere i loro lavori direttamente sormontando questa gerarchia.
M.M. Come avverte un artista questa crisi sanitaria?
F.C. Nel tempo ho cominciato ad apprezzare le situazioni difficili, perché spesso riescono a tirarti fuori molte emozioni, idee inedite e non esplorate. Come artista, questo periodo di isolamento con la mia famiglia, e lontano dal mio studio, mi sprona a creare opere utilizzando medium che non avrei mai pensato di usare prima, sperimentando e navigando quindi nuovi mari creativi.
M.M. A tuo parere, il lavoro di artisti e creativi subirà un mutamento nel periodo che succederà alla crisi?
F.C. Il mondo di prima era sfarzoso, frenetico, pieno di eccessi. Anche l’estetica del mio lavoro si lega a questa tendenza comune di fare showing off continuamente. Eravamo completamente assorbiti da questo stile di vita consumistico, fino al momento in cui si era arrivati ad un punto di non ritorno, dove persino l’estetica dell’arte era diventata corrotta, sregolata, pomposa. Secondo me, adesso si ritornerà a dare valore alla funzionalità delle cose, ignorando il loro aspetto. A mio parere, ci sarà molta più attenzione nei confronti dell’ambiente, ci sarà una nuova interpretazione del termine “indispensabile” e del termine “superfluo.” È finita l’epoca degli eccessi sregolati.
M.M. Come pensi che cambierà il lavoro di promozione della cultura portato avanti da musei e gallerie?
F.C. Come artista penso che ci sarà un cambiamento di tematiche, l’attenzione sarà spostata dal gesto artistico di sfida e sarà reindirizzata al sociale, all’umanitario da parte di istituzioni e artisti. Sarà centrale l’impiego dell’arte come mezzo per unire le persone. La produzione artistica diventerà un mezzo rivolto alle comunità, aiutando la gente. Probabilmente, il lavoro di artisti e creativi si concentrerà quasi esclusivamente sul sociale, ma questa standardizzazione di focus non è necessariamente un bene. Staremo a vedere…
M.M. Cosa mangiavano gli artisti prima della pandemia?
F.C. I like su instagram
M.M. Cosa mangiano gli artisti dopo la pandemia?
F.C. La voglia di rifarcela. Forse molti non mangeranno un granché. È come la favola della formica e della cicala, quelli che avranno lavorato durante il lockdown mangeranno. Quelli che non hanno lavorato durante l’inverno, dovranno rubare alle formiche per sopravvivere.
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a cura di Giordano Boetti