Juliet Mitchell, ”La condizione della donna” e l’oppressione della coscienza femminista

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Di Stella Grillo

La psicologa Juliet Mitchell scrive il suo libro La condizione della donna nel 1966: il saggio di sociologia si prepone l’analisi di quelle condizioni che hanno contribuito al perpetuarsi di una oppressione attiva della coscienza femminista. L’autrice identifica questa forma oppressiva in quattro punti cardine, analizzando e proponendo un quadro dettagliato dell’azione del patriarcato.

Juliet Mitchell, La condizione della donna e l’analisi del  Women’s Liberation Movement

Juliet Mitchell condizione donna
Credits – The British Library

Il movimento di liberazione delle donne WLM ) è un allineamento politico emerso alla fine degli anni ’60 e continuato fino agli anni ’80. L’obiettivo del WLM  era proporre un cambiamento socio-economico; ma, soprattutto, si poneva l’auspicio di respingere l’idea che l’uguaglianza,secondo la classe sociale, eliminerebbe la discriminazione sessuale contro le donne e la promozione dei  dei diritti umani di tutte le persone.

Nell’opera La condizione della donna Juliet Mitchell analizza le fasi di origine del movimento politico e i contesti su cui opera, confrontandolo con altre manifestazioni attive degli anni ’60. A tal proposito, individua quattro aree specifiche di oppressione delle donne: lavoro, riproduzione, sessualità e socializzazione dei bambini. Nel’articolo rivoluzionario Women, the Longest Revolution, la Mitchell spiega:

”Il problema della subordinazione delle donne e la necessità della loro liberazione è stato riconosciuto da tutti i grandi pensatori socialisti del XIX secolo. Fa parte dell’eredità classica del movimento rivoluzionario. Eppure oggi, in Occidente, il problema è diventato un elemento sussidiario, se non invisibile, nelle preoccupazioni dei socialisti. ”

Ne La condizione delle donna, l’autrice cerca di rispondere agli interrogativi relativi alla funzionalità del WLM. Quali sono le prospettive future del movimento e le strategie? Per rispondere a questi quesiti, Mitchell si focalizza anche sulle condizioni del movimento negli altri Paesi e sui rapporti dello stesso con l’ideologia hippy  e Black Power. Proprio grazie alle contestualizzazioni dettagliate del WLM l’autrice arriva a teorizzare che l’oppressione della coscienza femminista sia da ricercare all’interno delle strutture sociali e familiari.

Il ruolo marginale del socialismo nell’oppressione femminile

In Women, the Longest Revolution, citando Peter Townsend, si legge:

«Tradizionalmente i socialisti hanno ignorato la famiglia o hanno cercato apertamente di indebolirla, adducendo il nepotismo e le restrizioni imposte alla realizzazione individuale dai legami familiari. I tentativi estremi di creare società su una base diversa dalla famiglia sono miseramente falliti. È significativo che un socialista di solito si rivolga a un collega chiamandolo “fratello” e un comunista usi il termine “compagno”. Il principale mezzo di realizzazione nella vita è essere un membro e riprodurre una famiglia. »

Alla luce di queste riflessioni Juliett Mitchell si chiede:

Come è nata questa controrivoluzione? Perché il problema della condizione della donna è diventato un’area di silenzio all’interno del socialismo contemporaneo?

Per rispondere a questi dubbi, l’autrice ritorna su tali quesiti nel saggio La condizione della donna; dapprima, proponendo una personale analisi del pensiero marxista rapportato alle problematiche della questione femminile, di classe e di razza. Parafrasando Mitchell nell’articolo Women, the Longest Revolution Marx, nei suoi primi scritti, descrive la donna come entità astratta, antropologica e di categoria ontologica. Solo in seguito la donna è contestualizzata e differenziata secondo luogo e tempo, ovvero quando si arriva a descrivere la famiglia.

Marx passa così dalle formulazioni filosofiche generali sulle donne nei primi scritti a specifici commenti storici sulla famiglia nei testi successivi. C’è una grave disgiunzione tra i due. Il quadro comune di entrambi, ovviamente, era la sua analisi dell’economia e dell’evoluzione della proprietà.

Dopo tali disamine l’autrice arriva a una conclusione: nella società si è manchevoli di un modello armonico e di una strategia stabile e rivoluzionaria che sia concreta sia per la donna che per la sinistra.

Mitchell ritiene che esista un legame fra il socialismo e il femminismo, e che i due percorsi siano sommariamente paralleli. Tuttavia, il movimento socialista, alla luce delle dinamiche in analisi, ha contribuito a fruire un’oppressione attiva verso la nascita di una coscienza femminista, contribuendo non solo ad ostacolarla, ma anche a ricoprire un ruolo marginale per eliminare l’oppressione femminile.

Strutture sociali che determinano l’oppressione

Le strutture sociali che determinano l’oppressione femminile, secondo Mitchell, sono quattro. In primis la produzione, in cui la donna ha sempre avuto un non-ruolo: marginale, subordinato e relegato poiché rapportato alla sua poca forza fisica. Questa discriminazione si è diffusa sia nelle società primitive basate in prevalenza sulla caccia, sia in strutture sociali più evolute e all’avanguardia. Secondo l’autrice, un’altra struttura da esaminare è la riproduzione che ha fatto sì che la donna, nel tempo, fosse allontanata dal mondo lavorativo e produttivo; anche attualmente, infatti, i dibattiti su questo tema risultano copiosi. La sessualità che risulta una struttura poco nitida e non prevede e non pronostica un’appartenenza della donna e infine la socializzazione dei figli per cui la donna, secondo una prospettiva culturale e fisiologica, svolge un ruolo attivo e primario.

Stella Grillo

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