Era il 29 aprile 2008, quando Katy Perry annunciò al mondo di aver baciato una ragazza e di aver apprezzato. Dal fortunato singolo I Kissed a Girl, che l’ha lanciata di prepotenza nel mercato, sono trascorsi quasi vent’anni, e non si può dire che, nel frattempo, la popstar californiana sia stata con le mani in mano. Sei dischi, quattro tour internazionali, una Residency a Las Vegas (un format molto caro a Céline Dion e che ha visto, recentemente, la britannica Adele trionfare nella capitale del divertimento), varie comparsate sul grande e piccolo schermo (Zoolander 2, How I Met Your Mother, Scream Queens), un documentario, Katy Perry: Part of Me, a lei dedicato.

Nel mentre, una vita privata da montagne russe. Il matrimonio lampo con Russel Brand, durato appena un anno e chiuso bruscamente dall’attore attraverso un messaggio, in cui le comunicava di aver chiesto il divorzio, inviatole poco prima di un concerto. Poi, dal 2012 al 2014, la relazione con il collega John Mayer; infine, dal 2016, seppur con un periodo di allontanamento, la stabilità con Orlando Bloom, dal quale ha una bambina, Daisy Dove. Un lieto fine agognato e meritato, dopo tanto soffrire a causa dell’ex marito, e un amore maturo e sereno. È proprio il più nobile tra i sentimenti, da sempre al centro della sua discografia, il filo conduttore del nuovo album, 143, pubblicato ieri, 20 settembre 2024, e prodotto da Capitol Records.

Katy Perry: 143 è un inno all’amore, ma non sempre convince

Photoshoot per “143”, nuovo album di Katy Perry

Il titolo è una palese dichiarazione d’intenti: “143 è una cifra in codice per indicare “I love you”, usata negli anni Novanta come abbreviazione. «Ho deciso di creare un album dance-pop audace, esuberante e celebrativo con la simbolica espressione numerica dell’amore come messaggio principale» ha dichiarato la cantautrice, al secolo Katheryn Elizabeth Hudson. Per celebrare il suo ritorno, ieri sera si è esibita come headliner al Rock in Rio, davanti a più di centomila persone. Non male, per la “California Gurl”.

Ad aprire le danze è Woman’s World, distribuito l’11 luglio come traino al nuovo progetto. Si tratta di un manifesto femminista veloce e ritmato, che Katy esegue con convinzione ed entusiasmo. L’accoglienza, però, non è stata delle più calorose. I critici, e anche una fetta del suo pubblico, le hanno rimproverato di essere rimasta in qualche modo “bloccata” ai primi anni Duemila, in cui il “girl power” era un argomento trattato con meno consapevolezza e un pizzico di approssimazione in più. Nonostante il video sia molto dinamico e ironico, con una Katy perfettamente a suo agio nei panni dell’icona statunitense Rosie the Riveter, il singolo convince a metà.

La tracklist di 143, tra dance-pop e rap

Brusco cambio di sonorità nella seconda traccia, Gimme Gimme, in duetto con il rapper 21 Savage. Il pezzo richiama vagamente, almeno nella strofa, la base di un vecchio successo di Katy Perry e Kanye West, E.T., ma risulta meno incisivo del suo predecessore. Apprezzabile, tuttavia, la volontà di cimentarsi con generi diversi, per non limitare se stessa. Più efficace è Gorgeous, in coppia con la star tedesca Kim Petras. Sound simile, ma le due sembrano aver trovato un punto d’incontro che funziona. Si prosegue con I’m His, He’s Mine, rilasciato il 13 settembre come terzo estratto. Anche in questo caso Katy è in compagnia, stavolta della rapper Doechii, ma si vira di nuovo verso il dance pop, un terreno già battuto e, per questo, più solido. Nel videoclip ad esso abbinato, la musicista sfodera tutta la sua sensualità, ma sempre con quella sfumatura comica che la contraddistingue.

Gli anni Ottanta, ormai lo sappiamo, sono tornati a gamba tesa, specialmente nel panorama musicale globale. Neanche Katy Perry è insensibile al fascino della disco, che esplode nella divertente Crush, a tratti vintage e perfetta per scatenarsi in pista, con una punta di nostalgia verso decenni ormai lontani. Lifetimes, secondo singolo estrapolato da 143, è pensato e scritto per la piccola Daisy. «È strano come a volte si cerchi l’anima gemella in un partner.» -è la sua valutazione- «Ma per me è arrivata sotto forma di Daisy. Ho scritto Lifetimes su di lei. Ogni sera, prima di andare a dormire, le dico: “Ti amo” e poi le chiedo “Mi ritroverai in ogni vita?” e lei risponde: “Sì”.».

Katy Perry torna con 143: cuore e verità della popstar californiana

All The Love, track numero sette, ci riporta indietro al 2013 e a Prism, una delle opere più riuscite di Katy, che ci ha donato hit come Roar o Unconditionally. Il bubblegum pop è qui più evidente ed è un piacere fare un tuffo nel passato insieme alla performer, qui completamente nel suo. Restando ancorati a quel periodo, Nirvana ha in sé dei rimandi a un’altra pietra miliare indimenticabile, Dark Horse; ritmo, intenzione e self-confidence sono la ricetta giusta per uno dei brani più gradevoli dell’album. E Dark Horse è presente, forse anche in modo più evidente, nel beat di Artificial, feat. JID.

Truth è, come lo stesso titolo suggerisce, una delle canzoni più personali e significative della tracklist. Katheryn ha vissuto molte vite; pop sensation, songwriter appassionata, attrice e doppiatrice. Non si è mai nascosta dietro un dito, sia negli affari di cuore che nei conflitti (ricordiamo la celebre faida con Taylor Swift, per fortuna oramai archiviata). Tutte le esperienze vengono canalizzate nei suoi testi che, appunto, non dicono che la verità. Probabilmente non siamo di fronte al lavoro migliore della sua carriera, ma ha il merito di mostrare Katy Perry per quello che è; frizzante ed energica quando serve, ma anche profonda, riflessiva e, soprattutto, guidata dal cuore, come dimostra Wonder, che chiude il disco. Un brano che sarebbe stato benissimo in Teenage Dream, ma con una sfumatura più adulta e matura, impreziosito dalla partecipazione di sua figlia. Dopotutto, 143 significa I Love You, e Daisy è l’amore della sua vita.

Federica Checchia

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