Labentia Signa, l’antica locuzione latina utilizzata per riferirsi alle stelle cadenti durante il periodo estivo

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Di Stella Grillo

L’espressione Labentia Signa è un’antica locuzione latina che i poeti del tempo utilizzavano per riferirsi alle stelle cadenti del periodo estivo. Nello spazio dedicato alle Parole dal Mondo, in occasione della notte di San Lorenzo, un’etimologia magica fra scienza e letteratura.

Labentia Signa, i ”segni scivolanti”: la locuzione latina riferita alle stelle cadenti

Labentia Signa - Photo Credits: Viaggi.corriere.it
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L’espressione Labentia Signa significa, letteralmente, ”segni scivolanti”. Un modo di dire appartenente agli antichi poeti latini, utilizzato in riferimento al fenomeno delle stelle cadenti; uno spettacolo suggestivo e malioso che andava a verificarsi, per lo più, nel periodo estivo.

Il dieci agosto è da sempre la notte più attesa dell’estate; romanticismo, scienza, astronomia e letteratura si fondano per dar vita a un’atmosfera incantata e fascinosa al contempo. L’etimologia della locuzione Labentia Signa è, come si evince, latina. Labentia, infatti, deriva dal verbo intransitivo Lābor, voce verbale deponente appartenente alla terza coniugazione ( paradigma: lābor, lābĕris, lāpsus sum, lāpsum, lābi) la cui traduzione si rende con scivolare, fluire, scorrere. Labentia è il participio presente di Lābor.

Signa, invece, deriva dal latino Sĭgnum: ”segno visibile o sensibile di qualche cosa”, ma anche ”astro” come riportato nel vocabolario Treccani. L’espressione ”Segni scivolanti” è tipica della tradizione classica della letteratura latina. Un esempio dell’utilizzo della locuzione lo si trova nel De rerum Natura di Lucrezio, precisamente nella frase ”caeli subter labentia signa”:

”Sotto gli astri – stelle –  che scorrono in cielo”.

(Lucrezio, De rerum natura, liber I, 2)

La fortuna della locuzione grazie a una poesia di Michele Mari

In epoca moderna, l’espressione Labentia Signa deve la sua fama alla raccolta Cento poesie d’amore a LadyHawke di Michele Mari, edita Einaudi (2007):

I poeti latini
avevano una splendida espressione
per indicar le stelle che cadono in estate:
labentia signa
cioè segni scivolanti

Tale mi sembra il tempo
in cui ci siamo baciati
scia luminosa
passata troppo in fretta

L’astrofisica insegna tuttavia
che quel teatro
caro ai bambini e agli innamorati
non è caduta e non è scivolamento
ma solamente morte

Nella poetica e nel linguaggio di Michele Mari si incontrano arcaismi e neologismi, un lessico classico e armonioso, così come un rimando alla letteratura del tempo che fu. Mari sottolinea l’importanza del legame dell’uomo con il suo passato, nella sua poetica, poiché nulla può essere senza il ricordo di ciò che si è stati. Il poeta paragona l’ultimo bacio dato alla sua amata allo spettacolo delle stelle cadenti; abbagliante, suggestivo ma rapido: troppo veloce per essere assaporato di nuovo. Il bacio di cui parla Mari è come la scia luminosa di una stella cadente in cui si resta sì strabiliati, ma la bellezza del momento si consuma fugacemente. Sovviene indirettamente il concetto di tempo classico citato nei Fasti di Ovidio:

Tempora labuntur, et fugiunt dies

”Il tempo scivola e i giorni fuggono (con lui)”; ritorna, anche qui, il verbo ”lābor” alla sua terza persona plurale dell’indicativo presente attivo. Ma dopo i latinismi e la letteratura, nell’ultima strofa Mari si rivolge alla concretezza della scienza esordendo con ”l’astrofisica insegna”: la meraviglia delle stelle cadenti, sebbene siano uno spettacolo magico per bambini e innamorati, non è altro che la scena incantata di un dramma che si consuma, foriero di morte.

Stella Grillo

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