L’arte dirompente di Pollock e la frattura estetica dell’action painting

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Di Alessia Ceci

L’intervento dell’artista Jackson Pollock  (28 gennaio 1912 – 11 agosto 1956) nel mondo dell’arte ha contribuito all’emancipazione dell’opera da qualsiasi vincolo trascendente o estetico che la legava ad un modello rappresentativo prestabilito. Oggi ricorre l’anniversario di morte dell’artista che diceva con tutta onestà: “Non ho paura di apportare modifiche al quadro, di rovinarlo, perché esso ha una sua propria vita”.

La liberazione dell’essenza pittorica nelle opere di Pollock

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Autumn rhythm (number 30), smalto su tela, Metropolitan Museum of Art, New York, 1950

Un’opera con una vita propria prevede dunque lo scardinamento del privilegio del vertice dello sguardo dell’autore, che sa mettere da parte sé stesso per lasciare spazio all’essenza pittorica anche se prevede un superamento dei limiti. Proprio il sentirsi in una zona liminare, quasi borderline, era una condizione al contempo artistica ed esistenziale della vita di Jackson Pollock. Un elemento che contribuisce a rendere la sua figura visionaria e al contempo rivoluzionaria. Tra le più famigerate innovazioni: togliere la tela dal cavalletto e moltiplicare i punti di osservazione, ecco che la tela non ha più un centro ma si costituisce unicamente come trama.

Il dripping e l’action painting

Come scrisse Palma Bucarelli in un saggio relativo alla storica mostra che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea gli dedicò nel 1958:

“Pollock si affida interamente al puro impulso dell’atto fisico del dipingere, affermando che il quadro compiuto sarà l’immagine di quel gesto e del suo potere emotivo. Al di fuori di ogni richiamo analogico, la pittura può dunque esprimere per se stessa i moti profondi dell’essere”

Ed è la tecnica del dripping quella con cui esprime al meglio il potenziale artistico, diventando in seguito una delle massime espressioni dell’action paiting. Pollock stesso ha dichiarato di aver rotto definitivamente la tradizione di utilizzare pennello e cavalletto, lui preferiva pitturare con tutto il corpo. E il dripping di Pollock  non è altro che il segno visibile del suo “trip” dentro l’inconscio che lo guida come in uno stato di trance. Il caos, l’energia, lo smarrimento. L’opera non ha spazio e non ha tempo, sembra volgersi all’infinito e rievocare un’emozione vitale, abisso dell’inconscio.

Portare oltre ogni limite la pittura e la vita stessa

Il rigore estetico di Jackson Pollock consisteva precisamente nel non voler abbandonare la pittura – alla quale rimane profondamente legato – per operarne una sovversione interna, nel condurre la pittura stessa al suo limite. La sua è stata una ricerca struggente, piena di disperazione e incertezza, sfociata in una drammatica dipendenza dall’alcol.

Paradossalmente il biennio più proficuo coincise con il più lungo periodo di astinenza dagli alcolici. E’ stato quello il momento in cui Pollock ha inventato l’action painting, ma la ricaduta è arrivata puntuale nel periodo di massimo successo dell’artista. Una ricaduta fatale che si è conclusa con la morte del pittore in un incidente stradale.

Pollock e Mondrian: due artisti a confronto

Ad un primo approccio le tele di Pollock possono sembrare dei labirinti, delle forme sinuose che si attorcigliano su sé stesse, un’ esplosione di colori in cui lo sguardo dello spettatore si perde in questo spazio che sembra non avere un centro. Eppure Pollock, tramite il semplice gesto di spostare la tela a terra, per poi fare sgocciolare il colore utilizzando il principio della casualità, dimostrò un altro rapporto possibile con la tela e più in generale con l’arte.

Si trattò di un rapporto diverso da quello freddo e razionale che caratterizzò le opere di un artista fondamentale per l’arte americana come Piet Mondrian: quello di Pollock fu un rapporto più diretto, d’impulso e quasi viscerale. I primi anni di Pollock si configurarono quasi come una sorta di esercitazione su opere dei grandi maestri come Michelangelo, Tintoretto e Rubens che sono testimoniati da alcuni disegni conservati alla Pollock-Krasner Foundation a New York. Ma già da questi primi disegni emerge l’intrinseca energia percepibile dagli avvitamenti dei corpi, dall’anatomia e la forza che essi sprigionano.

Le superfici di Pollock e una delle opere più significative

Le superfici di Pollock sono fisicamente presenti e attirano lo spettatore direttamente. Autumn Rhythm venne realizzata nel 1950. Il pigmento venne applicato con i mezzi più disparati: coltelli, bastoncini e mani. Non c’è un punto focale centrale, ogni parte della superficie ha il medesimo significato. Anche le dimensioni (266 x 525 cm) assumono un’importanza significativa, poiché amplificano l’effetto visivo. Lo spettatore si sente rapito come in una magica e travolgente danza rituale. In queste opere manca la premeditazione ma non il controllo poiché Pollock gestisce con il cuore e con la mente il flusso della vernice. È infatti legittimo considerare il rapporto che Pollock ebbe con la tela come un anticipo delle performance degli anni Sessanta e Settanta. Così come nelle performance, anche nelle tele di Pollock il valore espressivo è dato dal corpo, dalla mente e dai sentimenti.

Il sostegno fondamentale di Peggy Guggenheim

Pollock diede una svolta importante all’arte astratta, motivo per cui è considerato a tutti gli effetti uno dei massimi esponenti dell’Espressionismo Astratto. La sua posizione apicale è avvalorata dal sostegno immediato della collezionista Peggy Guggenheim. Un sostegno fondamentale per gli artisti emergenti del tempo. Guggenheim scelse infatti Jackson Pollock come protetto, pagandogli un assegno mensile e nel 1943 gli commissionò un murale (Mural) per la sua casa a New York, una delle più grandi opere dell’artista. ”Quando ho esposto per la prima volta Pollock, scrisse in seguito Guggenheim, ”risentiva dell’influenza dei surrealisti e di Picasso. Ma ben presto superò questa influenza, per diventare, stranamente, il più grande pittore dai tempi di Picasso”.

Alessia Ceci

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