L’attore e il pubblico: artisti nel Settecento bersagliati con sassi e costretti a scappare di fronte a spettatori irruenti, ma nell’Ottocento si cambia…
Ne parliamo con Alessandra Casanova, regista.
Alessandra, l’ultima volta abbiamo parlato di come si comportava il pubblico a teatro nei secoli scorsi. Qual era il loro rapporto con gli attori?
“Ritorniamo nei teatri veneziani del 1700 e cominciamo facendo una doverosa distinzione fra gli attori perché non erano tutti visti allo stesso modo. C’erano i Divi che si potevano permettere ogni bizzarria (come fermarsi durante la scena per mangiare, prendere un caffè o, addirittura, riposarsi) e poi c’erano gli attori comuni”.
Immagino che per loro le cose fossero più complicate…
“Direi proprio di sì. Dovevano essere bravi a soddisfare le esigenze del pubblico perché poteva andarne (letteralmente!) della loro vita. Se gli artisti non piacevano venivano bersagliati con sassi e rifiuti di ogni genere (compresi gli escrementi) e a volte non restava loro che la fuga come unica via di scampo”.
E nel 1800 invece?
“Le cose cambiano. Intanto nell’ 800 fioriscono le Arene, teatri all’aperto con spettacoli che iniziano nel tardo pomeriggio per protrarsi fino a sera. I prezzi sono modici e permettono al popolo di partecipare alle rappresentazioni alla fine della giornata lavorativa”.
Come viene considerato il Teatro dal popolo?
“In un periodo in cui non esistono radio, televisione e cinema, il Teatro è molto importante. Fa parte della vita quotidiana. Ogni rappresentazione è un punto di aggregazione e di diffusione della cultura (consideriamo che l’analfabetismo è ancora molto diffuso) e, durante l’800, diffonderà anche gli ideali risorgimentali. Apro una parentesi per ricordare che molti attori saranno in prima linea nelle lotte risorgimentali, a partire dal grande Gustavo Modena e Adelaide Ristori”.
L’attore, le scene e le influenze sul pubblico
Il pubblico è influenzato da quello che vede in scena?
“Sì, molto. Pensiamo ai nomi coi quali vengono battezzati i bimbi dell’epoca. Ai tempi delle tragedie di Alfieri, troviamo tanti Oreste, Egisto, Elettra…. E anche i lavori di Shakespeare ispirano i tanti Otello, Amleto, Ofelia, Cordelia e Desdemona… Le rappresentazioni alle quali il popolo assiste vengono vissute con passione”.
E il rapporto con gli attori?
“Gli spettatori sono critici severi e, in un certo senso, anche competenti. Non a caso il grande Giovanni Emanuel osserva che ‘Il popolo solamente capisce l’arte’. Ed è vero. Ormai il popolo conosce le opere e paragona addirittura le interpretazioni dei diversi attori”.
Abbiamo quindi un pubblico più educato rispetto a quello che abbiamo conosciuto la scorsa volta?
“Sì, anche se spesso il pubblico entra nella storia rappresentata e si lascia coinvolgere a tal punto da considerare l’attore alla stregua del personaggio interpretato”.
Ad esempio?
“A Livorno, un attore che aveva interpretato la parte di un tiranno si reca al mercato per acquistare della carne, ma non trova nessuno disposto a vendergliela. Tutti si rifiutano di fare affari con un così tristo figuro”.
Altri aneddoti?
“Beh, lo stesso Tommaso Salvini, (impegnato nell’Oreste di Alfieri al Teatro Valle di Roma) entra in scena con la spada per vendicarsi di Egisto. Ecco allora che dal pubblico si leva una voce: ‘Ammazzalo! Guarda, è uscito mo’ da quella parte! E che aspetti?!’ . Insomma un pubblico variopinto con il quale doversi confrontare e da conquistare ogni sera. Un pubblico che riconosce comunque il valore culturale del Teatro e degli interpreti”.
Intervista a cura di Anna Cavallo