Quello del cinema è un paradosso. È un paradosso perché, magicamente, due dei più importanti film della stagione, usciti nello stesso giorno (ripetiamo, nello stesso giorno), hanno raccolto più di mezzo miliardo di dollari nel loro primo weekend. E lo è perché si è sempre stati alla larga dalla competizione. Ha sempre spaventato l’industria, uno spauracchio da evitare, che non piace a nessuno. Quasi a non offendere. Ne sono una prova evidente le uscite degli ultimi anni, tutte a distanza di sicurezza una dall’altra, per non pestarsi i piedi. E con la paura che il pubblico non sappia scegliere. Ma il paradosso del mercato è qui. La competizione è linfa vitale per il cinema, ed è energia che si auto-alimenta. Barbie di Greta Gerwig e Oppenheimer di Christopher Nolan non si sono mai combattuti ma, anzi, sono diventati la forza l’uno dell’altro, in un circolo promozionale che è, totalmente, un bellissimo paradosso.
Barbenheimer: gli opposti che si attraggono
Barbie e Oppenheimer sono, a ragion di logica, due film completamente agli antipodi. Certo, entrambi creature di regist* con una forte identità, ma comunque distanti anni luce. Uno basato sul brand di giocattoli più famoso al mondo, l’altro sulla genesi e nascita della bomba atomica. Ma la loro forza è proprio nata lì. Nel mulino inarrestabile che è internet, i meme e i social hanno giocato un ruolo fondamentale. La contrapposizione costante tra il rosa (pantone 219) di Barbie e i toni scuri e cupi di Oppenheimer ha invaso internet, permettendo un marketing praticamente a costo zero per entrambi. E da questo punto di vista, si è sempre sottovalutato il pubblico. Lo spettatore non è passivo, non è un automa che subisce quello che gli viene proposto. Ma è utente che sceglie, che performa e che può anche decidere essere parte integrante dell’effetto Barbenheimer. Ed è ancora più evidente come le grandi storie dopo la pandemia fossero necessarie per la sala. Non che non ci siano state, sia chiaro. Ma non di questa portata, contemporaneamente. E non così diverse tra loro. E la guerra impaurita al biglietto si è dimostrata fallace e solo figlia di una logica pre-pandemica. Per carità, tutte e due le pellicole avrebbero distrutto il box office da sole, ma sicuramente (oltre che alle casse delle sale e delle major) il Barbenheimer ha giovato al cinema. Tutto. Soprattutto in un periodo così incerto per l’industria come quello degli scioperi di attori e sceneggiatori, passati in sordina a causa della valanga di grigio e rosa del Barbenheimer. E se Barbie è diventata simbolo delle proteste, Oppenheimer ha sbattuto contro le manifestazioni durante la sua promozione, con gli attori che abbandonano l’anteprima per sostenere il giusto sciopero del SAG-AFTRA. È stato ed è un monito per le major a non sottovalutare né i lavoratori dello spettacolo che sostengono questo mondo né il pubblico.
L’Italia?
E in Italia, invece? Purtroppo, continua a perdurare l’idea malsana che nel nostro paese non si vada al cinema d’estate. E il Barbenheimer, da noi, non arriverà mai, dato che il film di Nolan è stato posticipato di un mese. Fa caldo, sono tutti al mare chi vuoi che vada al cinema? Senza scomodare gli incassi mondiali, basti pensare che, al giorno in cui scriviamo, Barbie ha superato abbondantemente i 12 milioni di euro solo in Italia, stracciando tutti i record sui box office del nostro paese. Dei numeri allucinanti, che estesi a tutto il mondo, risultano ancora più sorprendenti in una sola settimana di programmazione. L’effetto Barbenheimer non sta salvando il cinema, perché non ha bisogno di essere salvato. Ma sicuramente gli sta dando uno sprint di adrenalina enorme. Le sale sono piene come non si vedeva da anni e anni. Gli occhi all’uscita delle sale sono lucidi, la leggerezza è tanta e la marea di rosa fuori i multisala italiani fa capire quanto il cinema sia ancora forte e sappia ancora parlare al pubblico. È un cinema commovente per la sua forza e la sua bellezza. Ed è un cinema che parla al pubblico, che lo capisce e lo accontenta. Barbie e Oppenheimer hanno dimostrato come il cinema sia ancora in piedi e di come la sala sia ancora un posto bellissimo.
Alessandro Libianchi