La legge 22 maggio 1978, n. 194 è la legge della Repubblica Italiana che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all’aborto. Sono passati 43 anni da quella data storica che ha segnato una svolta fondamentale nella libertà di agire delle donne.
Prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) era considerata un reato dal codice penale italiano. Il 22 maggio 1978, dopo anni di aspre battaglie sociali, etiche e politiche, viene approvata la legge 194 che riconosce alle donne il diritto di interrompere volontariamente la gravidanza.
Legge 1978, n.194: la storia
La storia dell’iter che ha portato all’approvazione della Legge 194 inizia ben prima dell’anno di approvazione. Il primo passo avviene nel 1971, quando la Corte Costituzionale dichiara illegittimo l’articolo 553 del Codice penale. L’articolo riconosceva la propaganda dei contraccettivi come reato. Lo stesso anno viene presentato il primo progetto di legge per l’interruzione di gravidanza.
In prima linea a sostegno delle donne e del loro diritto all’aborto, i partiti di sinistra (Pci, Psi, Psdi), i partiti liberal-capitalisti (Pri, Pli) e il Partito Radicale italiano. Tre anni dopo viene presentato un nuovo progetto di legge. Proposto dal socialista Loris Fortuna e appoggiato dai Radicali e dal Movimento di Liberazione della Donna. Il 18 febbraio del 1975, la Corte Costituzionale dichiara parzialmente illegittimo l’art. 546 del Codice penale e viene così riconosciuta la legittimità dell’aborto terapeutico.
Il 29 aprile del 1975 il Parlamento approva la legge 405 per l’istituzione dei consultori familiari. Negli anni successivi saranno ben sei le proposte di legge sull’aborto, avanzate dal partito Comunista italiano, Liberali, Partito socialista Democratico Italiano, Movimento di Liberazione della Donna e Democrazia Cristiana.
Una legge sempre discussa
Il 22 maggio 1978 il progetto di legge proposto dai partiti di sinistra, liberal-capitalisti e radicale viene approvato. Tra il 17 e il 18 maggio 1981 però gli italiani sono chiamati a dire la loro su cinque referendum abrogativi, due relativi proprio all’aborto. Accese le polemiche scaturite dall’iniziativa. L’Italia stessa si spacca in due. Ma alla fine il 68% degli italiani si dice contrario all’abrogazione e la legge viene riconfermata nella sua forma originaria.
Prima di allora le donne erano costrette a praticare l’aborto clandestinamente. Tantissime le morti per infezione provocate da “interventi” improvvisati. Ovviamente il discrimine erano il ceto sociale di appartenenza e la disponibilità economica. Chi aveva la possibilità si concedeva il “lusso” di rivolgersi a professionisti, chi no, alle “mammane”, comunque in entrambi i casi agivano nell’illegalità.
Nonostante questo, dopo tante difficoltà c’è ancora chi discute su questa legge e prova a minare alla sua autorità. Appena pochi mesi fa il comitato della carta sociale europea, organo del Consiglio d’Europa, è tornato a bacchettare l’Italia perché ancora oggi abortire è troppo difficile. Questo succede perché il numero dei ginecologi obiettori in Italia pare sia in aumento. La carenza di personale specializzato e la disparità di accesso a livello locale e regionale incide ancora di più.
Ilaria Festa
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