Donne e cavalier, eroi che vagano per anni in balia di dei capricciosi, persino viaggi al centro della Terra. In oltre duemila anni di storia, il genere umano ha composto un’incredibile numero di testi su molti argomenti. Raccontando di tutto e di più. Dalla quotidianità al risultato della fantasia sfrenata, dalla narrativa ai saggi. Serve il lumicino per scovare un’assenza. O forse no: a mancare alla lista infinita è una soddisfacente produzione su uno degli avvenimenti su cui è forse più necessario di tutti scrivere. Su qualcosa di tanto reale quanto intenso e profondo. Mancano i libri sull’aborto. Ma perché?

I libri sull’aborto che già esistono

Scorrendo siti web che ne trattino, non può passare inosservata una caratteristica comune alla quasi totalità dei libri sull’aborto e sulla quale vale la pena spendere qualche parola: sono tutti saggi. La narrativa sul tema, ammesso che esista nella sua accezione più completa, è scarna. Resta la saggistica, con quel distacco funzionale che la caratterizza. Chi tiene la penna può raccontare di sé, del proprio vissuto, del dramma che sente ancora bruciare dentro come un fuoco costante. Ma è difficile che leggendo si incontri una donna al cui aborto non si dedichino più di un pugno di righe e qualche riflessione sparsa, figuriamoci un intero libro. È una delle carte vincenti di uno scrittore: l’identificazione del lettore con il personaggio, e quindi la partecipazione emotiva, la condivisione con esso dei problemi. E, nel più antico senso della letteratura, il rinfrancamento dai propri.

Eppure, si diceva, è la saggistica a farla da padrone.

Qualche titolo per tutti:

“Le madri interrotte”, Laura Bulleri e Antonella De Marco.

Un libro che parla alle madri, ma anche ai padri. Le autrici propongono testimonianze raccontate in prima persona dai genitori per aiutare le donne a iniziare quel percorso di riabilitazione psicologica che possa permettere di mitigare l’impatto del trauma e tornare, per quel che è possibile, a vivere.

“Storia dell’aborto”, Giulia Galeotti.

Un attento percorso che ripercorre le tappe dell’aborto dall’antichità a oggi. Come cambia la sua percezione, quali le battaglie fatte in suo nome, quanto siamo lontani dal punto di partenza. “L’aborto riguarda tutti”, sembra suggerire tra le righe l’autrice. Riguarda tutto. Storia inclusa. E questo è il modo in cui ci siamo posti a riguardo.

“Lettera a un bambino mai nato”, Oriana Fallaci.

Straziante, intenso, personale. Un monologo interiore di una donna con il bambino che scopre di aspettare e che mette la sua carriera avviata di fronte a un dubbio. Forse il libro più profondo dell’autrice, che fa parlare per bocca propria una donna che potrebbe tranquillamente essere chiunque. Che denuncia l’importanza di avere diritto a chiedersi quale sia la cosa migliore da fare.

Libri da ringraziare

Per la pubblicazione di questi libri occorre ringraziare. Scrivere di aborto, in qualsiasi genere si decida di inquadrare il prodotto libro, è già un’operazione grandiosa, che non deve essere accolta in maniera critica. Perché di aborto si parla troppo poco e spesso e volentieri male. Perché è una realtà che esiste e che non si può ignorare, a prescindere dalla percezione del singolo sull’argomento. Una realtà che può fare male, colpire con forza e spezzare i cuori e gli animi. Una realtà, soprattutto, che coinvolge il corpo delle donne, ma non solo.

Perché ci sono pochi libri sull’aborto?

Per citare un altro libro, “La verità, vi prego, sull’aborto” di Chiara Lalli:

“Se il 25% delle donne ha abortito, ognuno di noi avrà un’amica, una sorella, o una parente che ha abortito. Perché nessuno ne parla?”

Questo è il focus della questione. Nessuno, o quasi, ne parla perché è un argomento scomodo e quasi preconfezionato: è considerato per forza un dramma, e come tale va trattato. Lo stigma sociale ha funzione strumentale: non posso parlarne apertamente, devo vergognarmi. L’aborto è sempre un lutto, un trauma. Dalla decisione consapevole e volontaria si prendono le distanze. E di questo la letteratura risente. Richiedendo una narrativa precisa che inquadri l’avvenimento in un perimetro ben delineato. Chi abbia per la prima volta segnato il confine, poi, resta da vedere.

Si indagano la storia dell’aborto e le opinioni sulla pillola Ru486. Si concede spazio alla sofferenza e alla rinascita di donne che hanno abortito per mostrare come si possa risorgere dopo un lutto che è quasi la loro stessa morte. Ma l’aborto in letteratura non è ancora libero. I libri sull’aborto sono pochi perché è un fatto controverso, sulla cui giustizia e legalità dentro e fuori l’Italia ancora si discute. Perché una donna che prenda in mano la penna e scelga di scrivere: “sì, ho abortito ed è stata la scelta migliore della mia vita” è deprecabile. I libri sull’aborto raccontano una realtà, ma non la sola possibile.

Se l’essere umano scrive la letteratura…

L’unica soluzione perché questo possa cambiare è che lo faccia anche la nostra visione della cosa. Perché l’aborto è un diritto e le donne che scelgono di farlo devono poterlo rivendicare in qualsiasi modo, letteratura inclusa. Rivendicare ovunque la possibilità di accedere all’interruzione di gravidanza, non accettare che ci si rifiuti condannando del corpo e le vite altrui. Non stigmatizzare le donne che abortiscono ma aiutarle ad autodeterminarsi e a decidere per sé del proprio futuro. Fatto tutto questo, la letteratura sull’aborto potrà iniziare il proprio percorso di liberazione, raccontando il tema nella sua totalità e accettando qualsiasi lettura. Questo è quello che occorre fare.

È solo l’ennesimo campo in cui si gioca la libertà femminile.

Sara Rossi