
“Light of my Life” sancisce la maturazione di Casey Affleck come attore e autore. Ispirandosi a McCarthy ed evitando la retorica, Affleck scrive e dirige un’opera intensa e profonda
Un uomo (Casey Affleck) e una bambina (Anna Pniowsky) sono sdraiati su dei sacchi a pelo. Lui tenta di raccontare una storia alla figlia riluttante.
Una storia che racconta della memorabile impresa dell’Arca di Art, migliore di quella più famosa di Noè.
Quella che sembra una vacanza in famiglia in mezzo ai boschi si rivelerà qualcosa di più cupo e pericoloso.

Dopo l’esperimento “I’m still here” (documentario sulla presunta crisi artistica di Joaquin Phoenix), Casey Affleck si cimenta nuovamente nella regia con un film dagli spunti non originali ma con una visione concreta in mente.
Prendendo spunto dal romanzo di Cormac McCarthy , “La Strada” e presentato allo scorso Festival del Cinema di Roma, “Light of my Life” è ambientato in un mondo post-apocalittico.

Una realtà che appare simile a quella che conosciamo ma che mostra tutta la sua desolazione nel terrore provato da un padre deciso a proteggere la figlia Rag, superstite di una misteriosa pandemia.
Proprio come nei migliori racconti apocalittici, non ha rilevanza sapere da dove è arrivato il virus che ha portato alla quasi totale estinzione del genere femminile.
Ciò che conta è comprendere la responsabilità di un uomo che vuole difendere quella che non è solo una sua creatura ma forse l’ultimo appiglio alla sua vita passata.

È proprio Rag il fulcro di tutto il film.
Nata durante l’epidemia e cresciuta senza una madre, Rag è una ragazzina che deve nascondere la sua identità sessuale per sopravvivere ma che non può celare la sua vera natura.

Lo stesso genitore la vuole proteggere a tutti costi, confortandola e avvertendola ma faticando a spiegarle cosa significhi diventare una donna e soprattutto perché continuare a scappare.

“Light of my Life” si spinge pure oltre, affrontando direttamente il più grande dilemma di qualsiasi tutore (biologico e non): quanto si può proteggere i figli e quando bisogna lasciarli andare.
Persino in un mondo popolato da mille pericoli e poche certezze, Rag ha meno diritto di poter prendere delle decisioni per il suo bene e quello del padre?

Casey Affleck racconta tutto questo attraverso una regia molto rigida ma consapevole (prediligendo i piani sequenza), supportato dalla fotografia di Adam Arkapaw e la colonna sonora di Daniel Hart.
Ciò rende “Light of my Life” un film intenso e privo di retorica.
Non fornisce soluzioni concilianti o concrete ma non si dimentica del fattore umano, l’unico su cui puoi contare anche nelle peggiori avversità.

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