Luigi Pirandello: l’identità umana e l’attualità delle le sue opere

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Di Martina Puzone

Drammaturgo, romanziere e poeta di Agrigento, Luigi Pirandello fu una figura di grande rilevanza per la cultura del Novecento. Riconosciuto per il grande impegno e contributo nelle arti letterarie, nel 1934 ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura.

Ha scritto romanzi, racconti e novelle, ma il suo apporto maggiore è da conferire alla drammaturgia, campo in cui è divenuto un punto di riferimento nel secolo scorso, scrivendo quaranta drammi teatrali. In numerosi scritti possiamo tracciare due elementi portanti del suo pensiero: l’umorismo, attraverso il quale indaga la fragilità degli individui; la crisi dell’io, che consiste nel recupero della propria identità mediante la follia.

Uno, nessuno e centomila

luigi Pirandello
Luigi Pirandello

La pubblicazione del romanzo avviene nel 1926, viene pubblicata prima a puntate sulla rivista “Fiera letteraria” e, successivamente, in un volume. Il cuore pulsante dell’opera sono le molteplici identità dell’io narrante, che riflette sulle sfumature della sua più intima natura, ricorrendo spesso ad un monologo. Questo tema è caratterizzato dall’impiego del grottesco che si pone come un invito a riflettere sulla condizione umana.

Il protagonista è Vitangelo Moscarda, soprannominato Gegè, presentato come un uomo comune che conduce una vita agiata grazie alla banca ereditata da suo padre. La sua tranquillità viene a vacillare quando sua moglie fa un commento sul suo naso, dicendo che pende da una parte. Gegè è sconvolto: si rende conto che gli altri lo percepiscono in modo diverso rispetto al come lui stesso si è sempre percepito. Da quel momento decide di cambiare stile di vita per poter scoprire chi sia davvero: compie azioni che per sua natura non pensava avrebbe mai commesso come vendere la banca di suo padre, espone una serie di riflessioni che lo fanno passare per pazzo.

Sua moglie, disperata, abbandona la loro casa e decide di interdire suo marito. Anna Rosa, amica di sua moglie, gli rimane fedele ma poco dopo viene spaventata dai discorsi del protagonista e gli spara, ferendolo gravemente.

“Centomila” alter ego

L’io di Vitangelo è frantumato in questa pluralità di identità. Inizia a sentirsi in pace quando un religioso, Monsignor Partanna, lo invita a rinunciare ai suoi beni terreni per donarli ai meno fortunati. Gegè dona un ospizio alla città, luogo in cui si rifugia trovando serenità e conforto grazie alla totale fusione col mondo della Natura. Quest’ultimo è l’unico luogo in cui sente di poter abbandonare, senza timore, le “maschere” che la società gli ha imposto.

Il fu Mattia Pascal

Scritto nel 1903, è il romanzo più noto dello scrittore e ruota interamente intorno all’identità individuale: quella di Mattia Pascal e di Adriano Meis, suo alter ego. Racconta le vicende che portano il protagonista a divenire il “fu” di se stesso.

Il padre di Mattia vince una grossa somma al gioco e dopo la sua morte, sua madre sceglie di dare in gestione l’eredità del marito a Batta Malagna, amministratore che deruba la famiglia a poco a poco. Mattia e suo fratello sono troppo occupati a divertirsi per rendersene conto. Tra l’altro, il protagonista mette incinta la nipote di Malagna, che lo obbliga a sposarla. Impoverito dalla cattiva gestione del patrimonio, Mattia inizia a lavorare come bibliotecario e va a vivere a casa di sua suocera, donna che lo detesta. La vita matrimoniale diventa intollerabile e dopo la perdita delle sue figlie, Mattia parte per Montecarlo, volendosi arricchire col gioco.

Vince una buona somma di denaro e decide di tornare a casa, ma accade qualcosa: in treno legge sul giornale di un suicidio avvenuto a Miragno, scoprendo anche di essere stato identificato nel cadavere del suicida. Mattia dopo averci riflettuto, coglie questa occasione per fuggire dalla sua vita. Adotta il nuovo nome di Adriani Meis, ritenendo che liberarsi di Mattia, sia il primo passo verso una nuova vita.

Il fu Mattia Pascal: Adriano Meis

Dopo aver viaggiato, si stabilisce a Roma dove si scontra con i limiti di una vita che si pone al di fuori delle convenzioni sociali: non possiede documenti d’identità, quindi non può denunciare un furto che gli viene fatto e non può sposare la figlia del padrone di casa, Adriana, della quale si innamora. Stufato anche di questa vita, inscena il suicidio di Adriano e riprende i panni di Mattia, resuscitandolo. Giunto a Miragno scopre che sua moglie ha sposato un amico di vecchia data a hanno una figlia.

Mattia viene isolato dall’ordine sociale e riprende il lavoro da bibliotecario, vivendo una vita condannata al senso di estraneità dal mondo, la cui unica distrazione è andare in visita alla propria tomba.

I Quaderni di Serafino Gubbio imperatore

Viene pubblicato nel 1915 su “La Nuova antologia” sotto forma di fascicoli. L’anno successivo viene pubblicato da Treves in forma di libro. Il protagonista è siciliano e si trasferisce a Roma dove trova lavoro come operatore cinematografico alla Kosmograph. Il suo compito è girare la manovella della macchina da presa, azione che a lungo andare lo fa sentire un automa.

A trovargli questo impego è stato un suo amico filosofo, Simone Pau, che gli consiglia di sistemarsi provvisoriamente in uno squallido ospizio. Gli avventori di quel posto sono dei personaggi molto particolari. Individua personalità altrettanto fuori dal comune anche negli studi in cui lavora. Un esempio è Vania Nesteroff, donna bella e crudele che fa innamorare tutti, soprattutto Giorgio Mirelli. Quest’ultimo, dopo aver scoperto il tradimento di Vania con Aldo Nuti, fidanzato di sua sorella, decide di togliersi la vita.

Dopo questa vicenda, l’attrice si lega a Carlo Ferro, uomo violento. Tuttavia Aldo Nuti si presenta alla Nestoroff con l’intento di riallacciare i rapporti, una scelta che porta tensione anche nelle vita in studio alla Kosmograph. Sul set accade qualcosa: Ferro doveva girare un scena in cui veniva uccisa una tigre vera, ma lascia il posto ad Aldo. Nuti prende la mira e spara, ma colpisce la Nestoroff che cade a terra mentre lui viene sbranato. Gubbio riprende tutta la scena e lo shock gli toglie per sempre la parola.

I “quaderni”

Privato della parola, Serafino scrive dei quaderni nei quali rivela le sue opinioni. La principale considerazione è il ruolo della modernità: le macchine sostituiscono gli uomini fino a renderli schiavi. Pirandello mette in luce l’ingenuità dell’uomo che costruisce macchine con la convinzione di essere più libero, non accorgendosi di delegare la sua libertà ad esse fino a diventarne schiavo. Qui l’individuo si spersonalizza.

Sei personaggi in cerca d’autore

Uno dei più grandi drammi teatrali di Pirandello, messo in scena per la prima volta al Teatro Valle di Roma nel 1921. Questa è la prima opera della trilogia del “Teatro nel Teatro” a cui hanno fatto seguito “Questa sera si recita a soggetto” e “Ciascuno a modo suo“. La prima rappresentazione fu contestata da molti spettatori, mentre nella terza edizione dell’opera, Pirandello aggiunse una prefazione in cui spiegava il significato della rappresentazione.

Sul palcoscenico di un teatro si svolgono le prove del secondo atto di un’opera di Pirandello, “Il giuoco delle parti“, quando irrompono Sei personaggi che chiedono al capocomico di mettere in scena la loro storia. Dicono di essere dei personaggi creati da un autore che ha lasciato stare la loro commedia, rifiutando la sua stessa creazione. Si tratta di un Padre, una Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. Dopo aver insistito, la compagnia accetta questa richiesta e su quello stesso palco i personaggi raccontano la loro storia al fine di rappresentarla.

La storia dei personaggi

La Madre e il Padre si sono separati dopo aver dato alla luce un Figlio. La Madre si innamora del segretario di suo marito col quale concepisce la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. Il segretario muore e la famiglia non ha soldi, così la madre inizia a lavorare come sarta nell’atelier di Madame Pace, luogo che si rivela un bordello nel quale la Figliastra sarà costretta a prostituirsi. Questo bordello è frequentato anche dal Padre, il quale per poco non finisce con la Figliastra perché la Madre evita questo incontro semi-incestuoso.

Quando il Padre viene messo al corrente della situazione, accoglie tutti nella propria dimora ma la loro convivenza si rivela difficile soprattutto per il risentimento del Figlio. Viene aperto un contrasto insanabile tra attori e personaggi. Il culmine viene raggiunto della scena finale in cui la Bambina affoga in una vasca e il Giovinetto, che aveva assistito a tutta la scena, si toglie la vita con una rivoltella, scena a cui segue il grido straziato della Madre.

Pubblico e autori restano colpiti da questo finale tragico e non capiscono se sia realtà o finzione. Interviene il capocomico che decide di licenziare tutti i personaggi che si trovano sul palco, mentre quelli rimasti vengono invitati a tornare. L’epilogo vede la Figliastra che lascia per ultima la scena mentre ride verso gli altri personaggi e corre verso le scalette, scomparendo dalla scena.

Martina Puzone

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