Macello di Pietro Babina, intenso e scabroso registro di una pratica quotidiana, in scena fino a stasera al Rasi di Ravenna
Un macello qualunque, in una delle nostre città. Una pratica consolidata e accettata, quella della macellazione animale, legale e regolata, per una volta portata in scena senza retorica e sentimentalismi.
In scena al Teatro Rasi di Ravenna ieri sera, l’opera di Pietro Babina, autore, attore e regista di un’opera truculenta che non commuove, disgusta e basta. Disgusta sull’inclinazione alla violenza che forse fa parte dell’essere umano o che forse fa parte della vita stessa.
Anche molti animali, in fondo, si uccidono tra loro per cibarsi E sopravvivere. Quello che però sgomenta nello spettacolo di Babina è l’inutile e ostinata ritualità della macellazione, dove violenza e oscenità sono tutt’uno.
Come se uccidere non bastasse e occorresse accompagnare il sacrificio con lo scherno e la brutalità che la razza animale non conosce.
Stivali e tuta bianca indosso, Babina interpreta un macellaio molto lontano dall’immaginario comune, pacioso e rubicondo. E’ un aguzzino nevrotico che lavora con precisione meticolosa e osserva attentamente le reazioni nei corpi delle bestie mentre vengono scaricate dai camion e condotte negli androni della morte.
Messe in fila, circondate dagli addetti ai lavori, stordite e sgozzate. La cavalla zoppa, la giovenca rimasta in vita per una palanca in meno, il toro riuscito a scappare che finisce in strada, scatenando il panico. Tanti altri animali sacrificati. Mucche, buoi e cavalli soprattutto.
I colpi di pistola sparati due volte durate lo spettacolo, il muggito dei bovini durante la mattanza e l’immagine finale della crocifissione. Come se Dio “avesse la puzza al naso” quando gli animali vengono uccisi e gli chiedono “Non ho forse un’anima anch’io?”.
Lo spettacolo, fuori abbonamento, fa parte del calendario della Stagione dei Teatri della società di produzione Ravenna Teatro.
Anna Cavallo