Marocco, non chiamatela “favola”

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Di Alessandro Salvetti

Era impensabile, certo, ma che una nazionale che fra i propri giocatori vanta elementi provenienti da club come Psg, Bayern Monaco, Siviglia, Chelsea e Fiorentina sia riuscita farsi strada in un mondiale, forse, non dovrebbe stupire così tanto. Il Marocco è ad un passo dal sogno, a due scalini, i più grandi, da un successo storico, e non vuole svegliarsi adesso. Fin qui si sono dimostrati più forti di tutto e tutti, più del Belgio, della Spagna, del Portogallo e anche di quel Marocco targato Henry Michel che nel 1998 fu destato dal sogno degli ottavi mentre già stava esultando.

Il percorso del Marocco

Terzo posto. A questo potevano ambire i ragazzi di Regragui. Lo dicevano tutti, lo si diceva probabilmente anche a Rabat e in un girone con Belgio, Croazia e Canada era impossibile non dirlo. Che lo 0-0 con la Croazia (vicecampione in carica) all’esordio non fosse una bellissima illusione lo ha dimostrato il 2-0 rifilato ai Diavoli Rossi a cui è seguito il 2-1 contro il Canada, che ha certificato il primo posto nel girone contro ogni pronostico.

Agli ottavi chiunque si sarebbe aspettato una comparsata contro la Spagna, una bella esperienza per tutta la spedizione, ma niente di più. E, invece, ancora una volta i Leoni dell’Atlante sono andati oltre le previsioni, battendo, seppur ai rigori, una delle pretendenti al titolo. L’ultima vittima dei magrebini è stato il Portogallo, ricco di talento, soprattutto nel reparto avanzato, ma che si è scontrato contro un muro che, fin qui, ha subito un solo gol, peraltro da fuoco amico. Statistiche uguali a quelle dell’Italia nel 2006.

Photo credits: Contrasti

Le chiavi del successo marocchino

“Giocate come sapete, perché sapete come si gioca” dice sempre il ct nel prepartita. E il merito di Regragui, che in Africa ha vinto campionato e coppa del Marocco e Champions League africana, è questo: essere riuscito ad inculcare ad un gruppo di calciatori di qualità le geometrie in campo e fuori, regalando al mondo una squadra per cui tifare. Il match con i lusitani ha dimostrato come nel calcio non siano sempre gli schemi a vincere. Contro CR7 e compagni, oggettivamente, il livello tecnico è stato mediocre, ma se il Portogallo non ha saputo giocare è stato soprattutto per merito degli avversari, che mirano al sodo, apparendo più ruvidi che belli, più calciatori che star.

Di stelle, comunque, il Marocco ne ha tante e fanno la differenza eccome: da capitan Saiss ad Hakimi, da Ziyech ad Amrabat passando per Bounou ed En-Nesyri. Tutti giocatori che militano, quasi sempre da titolari, nei migliori campionati europei. E spesso ci militano perché in Europa ci sono nati e cresciuti: sono 16 (sui 26 partiti per il Qatar) i giocatori nati fuori dai confini del Marocco e scovati dalla capillare rete di scouting su cui può contare la nazionale.

Come Bounou, portiere del Siviglia, nato in Canada e trasferitosi da bambino in Marocco, patria dei genitori, dove è è cresciuto con la maglia del Wydad Casablanca, come Hakimi, una delle stelle della squadra, nato in Spagna (avrebbe potuto scegliere la Roja, ma ha optato per il paese dei genitori sin dall’Under 20), o come Mazraoui, nato in Olanda e calcisticamente cresciuto nell’Ajax. Allo stesso modo di Amrabat, nato in Olanda, Cheddira, nato a Loreto e ora consacratosi col Bari, e del fuoriclasse Ziyech, nato a Dronten (Olanda), da genitori marocchini.

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Autore: Alessandro Salvetti.