20 febbraio 1909: sulla prima pagina del quotidiano francese “Le Figaro“, viene pubblicato il Manifesto del Futurismo. “Manifeste du Futurisme”, elaborato da Filippo Tommaso Marinetti, che, fingendosi innamorato della figlia di un ricco egiziano comproprietario del quotidiano parigino, ottenne la pubblicazione. Il suo testo suscita scalpore in mezzo mondo. Sancisce la reazione alla cultura borghese dell’Ottocento, compreso il decadentismo dannunziano.   Parole in libertà dovevano sostituire la retorica tradizionale. Con la pubblicazione, si ebbe la notorietà internazionale del Movimento Futurista. Che agli inizi del Novecento si impone in Italia, pervadendo tutte le arti, autentico inno alla modernità.

1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. 2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. 11 punti in forma di declamatoria, riempiono il Manifesto. “È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il « Futurismo », perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii“. 

Bellezza profuma di carta stampata

Il suo incipit, è meglio di un libro di avventure: “Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io – sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso fulgore di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestata sul opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture”.Marinetti è forse l’esempio più famoso di scrittore che vive delle sue invenzioni e che non inventa quasi niente”: diceva di lui Jorge Luis Borges. “Un cretino fosforescente“: visibilmente e comprensibilmente indiavolato, lo descriveva Gabriele D’Annunzio.

Un genio, un vulcano, ma la penna di Marinetti ha fatto stragi: “Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano”.

Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema