Dal decamerotico al nazispolitation: tutto il cinema di Pasolini nel novantottesimo compleanno del cineasta.
Pier Paolo Pasolini: un ritratto in vita e in morte
Il ritratto che appare è quello di un regista visionario, controccorente e, proprio per questo, scomodo a quella società potente e benpensante che mai aveva accettato le sue idee.
Questo era Pier Paolo Pasolini, regista e uomo appassionato della verità che altri hanno sempre cercato di soffocare, mettendolo a tacere per sempre il 2 novembre 1975 ad Ostia.
Un delitto, questo, tanto barbaro quanto misterioso, che aveva portato alla condanna di Pino Pelosi, poi morto in carcere per un tumore, dove stava scontando la pena per l’omicidio.
Un’accusa che, se lasciava dubbi quando era in vita, con la sua morte ne lasciò ancora di più e aprì la strada a molte tesi, talvolta complottiste.
Pier Paolo Pasolini: la regia
Ma Pasolini sapeva essere un visionario e controcorrente anche nello stile registico, che ha segnato inevitabilmente l’epoca contemporanea del cinema italiano.
Infatti, dopo aver usato un tono quasi canzonatorio nel descrivere la corruzione e l’affanno dell’animo umano, Pasolini adotterà uno stile più crudo e, a tratti, sadico. La sua poetica, incentrata su un animo umano affannato dalla società e che cede alle tentazioni, si rifletterà notevolmente nella sua regia.
In particolare, il regista userà questi due registri differenti nel Decameron e in Salò o le 120 giornate di Sodoma.
Decameron
Nella prima pellicola, uscita nel 1971 e premiata con l’Orso d’Argento a Berlino, adotterà uno stile più ironico ed empirico.
In particolare, il suo registro sarà usato per denigrare le credenze popolari, come già fatto dal Boccaccio nell’omonima raccolta di novelle.
Uno stile che, soprattutto, rende partecipe lo spettatore ai riti e alle lussurie dei protagonisti all’interno del film.
Salò o le 120 giornate di Sodoma
Per quanto concerne Salò o le 120 giornate di Sodoma, Pasolini adotta uno stile più volto alla rappresentazione sadica della perdizione sessuale dell’uomo.
Uscito nel 1975, pochi mesi prima del suo assassinio, il film prende spunto dai racconti biblici di Sodoma e Gomorra, le due città flagellate da Dio. Una narrazione “sacra e profana”, che mescola filosofia e prese di posizione durissime, nella città che è stata teatro della rifondazione fascista.
Il tutto viene elaborato con la solita ironia che traspare dalla macchina da presa del cineasta bolognese, che sembra farci immergere in questo turbinio di pathos e disgusto. Una regia sì rude ma che, allo stesso tempo, rende l’idea delle vicissitudini e delle disfatte in cui può incorrere l’umanità.
Quell’umanità che Pasolini aveva sempre cercato in tutti e che gli è stata tolta. Forse per stoltezza della gente, o forse per sua stessa ingenuità.
Tanti auguri, Pier Paolo.
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