Guillermo del Toro ci regala un riadattamento in animazione del racconto di Collodi, ambientando la storia di Pinocchio nell’era fascista. Quel che ne esce fuori è un capolavoro che ci mostra quanto riadattare una storia sia fondamentale per far sì che parli agli spettatori di oggi.

Il film ha già riscontrato un ampio successo da parte della critica e uscirà su Netflix il 9 dicembre.

Pinocchio, la recensione: il contesto fascista

Già nei primi quindici minuti capiamo che non si tratta più del mondo idilliaco in cui era ambientato il Pinocchio originario: arrivano le bombe nel paese di Geppetto, che per questo perde l’amatissimo e “perfetto” figlio Carlo. Da questo momento per il pover’uomo inizia un percorso in discesa, perché il dolore lo porta a bere per dimenticare e a interrompere il suo lavoro da falegname. Da perfetto cittadino fascista perché buon padre di famiglia e instancabile artigiano, Geppetto passa per diventare un reietto a causa del suo problema con l’alcool e dell’inattività a lavoro. Di questo secondo aspetto, in particolare, il podestà si rende conto e non manca di ricordarglielo: Geppetto deve terminare di dipingere il Cristo della chiesa del paese, sennò sono guai.

La minaccia del fascismo e dei suoi rappresentanti si fa più forte quando l’orripilante creazione di Geppetto si mostra spudoratamente di fronte a tutti: Pinocchio. Un burattino che parla e si muove liberamente è opera del Diavolo, e in quanto tale deve essere eliminato. E’ chiaro però sin da subito che Geppetto si è affezionato a quel burattino, perché è l’ultima possibilità che gli resta di essere padre. Anche se con lui è un burbero, perché Pinocchio non è come l’adorato e diligente figlio Carlo, Geppetto farebbe di tutto per lui. Per lui scende a patti con il podestà e con il Don del paese, finendo di dipingere il Cristo che aveva interrotto. Per Pinocchio, girerà in lungo e in largo per la penisola al fine di sottrarre il suo bambino dalle grinfie di Mangiafuoco.

Un Pinocchio come non lo si era mai visto

La personalità di questo Pinocchio emerge sin da subito: è un burattino vivace, proprio come lo sarebbe un bambino che non ha ancora conosciuto il mondo ed è curioso di scoprire ogni cosa. E’ dolce nella sua ingenuità, si lascia convincere facilmente dagli altri, eppure è testardo nell’affermare la sua identità.

Il film, girato in stop-motion, sorprende per la bellezza delle immagini e in particolare per la rappresentazione del famoso burattino italiano. Se la Disney ci ha insegnato a pensarlo come un bambino di legno dalle fattezze semi-umane, e il successivo remake aveva accentuato questo aspetto, quello di del Toro colpisce per la sua inumanità visiva, compensata da una forte carica emotiva.

Una storia universale che parla ancora oggi, non solo per via del fascismo

La storia di Pinocchio è una fiaba tipicamente italiana, dove un bambino (seppur di legno) si mette in pericolo in un viaggio rocambolesco pieno di loschi figuri proprio per aver disobbedito agli ordini del padre. Questo perché nell’Italia ottocentesca di Collodi i bambini dovevano assomigliare quanto più possibile agli adulti, e non c’era spazio per il gioco o la fantasia.

Il Pinocchio di del Toro riprende lo spirito della fiaba originaria riadattandolo non a caso nell’epoca fascista, in cui il valore di un uomo e anche quello di un bambino dipendevano dalla diligenza nei confronti dello Stato. Pinocchio rappresenta così un elemento di rottura per il contesto fascista, non soltanto per le sue fattezze non ordinarie, ma proprio per il suo spirito libero e la sua mente aperta nei confronti delle novità.

Così, scevro da ogni condizionamento sociale, Pinocchio riesce ad andare oltre i pregiudizi della gente e a stabilire un rapporto di amicizia anche con chi inizialmente gli era avverso. Come accade con il famigerato Lucignolo, che qui è un bambino sottomesso alla maniacale sete di gloria del padre, podestà del paese. Stavolta, a differenza della fiaba, sarà Pinocchio a mettere Lucignolo sulla “cattiva strada” e a fargli aprire gli occhi sulla figura paterna.

Niente più buoni o cattivi

Lucignolo non è l’unico personaggio umanizzato, ma tutti i protagonisti sono carichi di una profondità che farebbe invidia ai personaggi sbiaditi di troppe serie e film contemporanei. Sebastian, il Grillo parlante, non è più un mentore che dispensa consigli gratuiti, ma uno scrittore narcisista che accetta la richiesta della Fata di aiutare Pinocchio a patto di veder esaudito un suo desiderio…

Sebastian, il Grillo Parlante, è uno scrittore bohémien alle prese con la sua autobiografia.

Anche la Fata qui è diversa da quella che ricordavamo. Non somiglia più a una Grace Kelly, come nel cartone Disney, anzi, non ha del tutto sembianze umane. Ebbene, del Toro ce la rappresenta come una Chimera, dal carattere un po’ troppo sentimentale, perlomeno per i gusti di sua sorella, un’altra chimera che governa il Tempo.

Mangiafuoco, invece, è stato fuso con la figura della Volpe e ritratto come un ex uomo di successo che ha visto piano piano sprofondare nel buio il suo circo proprio a causa…del cinema! Viene spalleggiato dal suo aiutante-schiavo, Spazzatura, un babbuino che finirà per fare amicizia con Pinocchio.

Il bambino di legno vi sorprenderà

Il finale di questo film riesce a commuovere per il tono agrodolce con cui si chiude la storia. Ma non solo: ci sorprende per il modo in cui è stato trattato il tema della diversità di Pinocchio in quanto bambino di legno.

Non possiamo rivelare altri dettagli sul film perché non vogliamo togliervi il gusto di scoprire cosa succederà a Pinocchio e ai suoi compagni di sventura. Vi anticipiamo però che questo film vi sorprenderà proprio perché è stato riadattato alla nostra sensibilità moderna, mantenendo lo spirito originale del racconto di Collodi.

di Eleonora Quarchioni

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