Amanti dell’horror e del thriller, sì, mi rivolgo proprio a voi. Quanti avranno sentito parlare di Psycho, cult di Alfred Hitchcock del 1960? Immagino tutti. Nel 1998 Gus Van Sant, regista molto conosciuto grazie ai successi di Will Hunting-Genio ribelle (1997), Elephant (2003)e Last Days (2005), ne fa un remake che riceverà fin da subito il consenso del pubblico. Vediamo insieme qualche analogia e differenza rispetto al grande classico.
Tra analogie e differenze
Psycho (1998). Si tratta di un remake shot-for-shot, termine che esprime l’arte di realizzare un prodotto cinematografico identico, o quasi, all’originale. Un compito arduo, in cui il rischio di sbagliare è dietro l’angolo. Rendere onore a un’opera così grande e a un regista altrettanto speciale, richiede di certo un forte coraggio, ambizione e forse anche un pizzico di follia.
Gus Van Sant è riuscito, comunque, nella sua impresa, portando nuovamente nelle sale dialoghi, sceneggiature e melodie originali in una chiave più moderna e, certamente, più cruenta. Nonostante la riproduzione fedele, balzano comunque all’occhio alcune differenze sostanziali, che andremo ad analizzare nello specifico, ripercorrendo insieme i tre momenti più salienti del film.
La prima scena – Psycho
Venerdì, 11 dicembre 1960. Una lunga ripresa mostra dall’alto la città di Phoenix, per arrivare pian piano dentro la stanza di Marion Crane; o almeno, questa era l’intenzione del regista. Altri tempi, altre tecnologie, che, ovviamente, hanno fatto sì che il risultato finale risultasse colmo di scene tagliate e imprecise. Il fine di Hitchcock viene comunque compreso da Gus Van Sant, che, quasi quarant’anni dopo, porta sulla scena proprio quella sequenza tanto desiderata dal regista.
Non è più, però, l’11 dicembre del 1960, bensì del 1998, giustificando, in questo modo, l’abbandono del bianco e nero e la scelta di attori visibilmente più moderni. Le stesse movenze, le stesse parole e gli stessi sguardi rendono le scene pressoché identiche, ma è un particolare a fare la differenza: la passione, fortemente visibile nell’intensità donata al quadro dai protagonisti di Hitchcock e solamente accennata da quelli di Gus Van Sant, percepibile unicamente dalla nudità dell’uomo, simbolo della notte d’amore appena trascorsa.
L’incontro con Norman
Diluvia e Marion non sa dove passare la notte. A un certo punto, vede la scritta Motel. Accosta la macchina, bussa, ma non sembra esserci nessuno. Ecco arrivare un uomo. Il suo nome è Norman Bates. La accoglie nell’ufficio e dopo averla accompagnata in camera, le prepara qualcosa da mangiare. Si crea subito un’empatia particolare tra i due, una chimica sottile, che smuove l’apparente temperamento del ragazzo. Ma a un certo punto, tutto cambia. Mentre Marion si trova in vasca, Norman, travestito da donna, la uccide.
Di certo la scena più emblematica del film, che, seppur molto simile all’originale, presenta alcune disparità. Prima di tutto, nella versione di Gus Van Sant, Norman sembra masturbarsi mentre spia la ragazza nell’atto di spogliarsi; questo dettaglio, non è invece presente nella scena di Hitchcock. Il momento dell’accoltellamento appare senza dubbio più cruento nel film del ’98, nonostante il sangue assuma un colore sbiadito, poco fedele alla realtà.
La cantina – Psycho
Gli ultimi minuti del film. Lila entra in casa di Norman per scoprire finalmente la verità. Dopo aver osservato le stanze principali, si nasconde nella cantina, dove trova il cadavere di una donna: è la madre del ragazzo. Nella versione originale, la cantina risulta, però, più piccola e umida, mentre nel remake lo spazio è certamente più grande e meno cupo. Anche in questo caso, la cura al dettaglio rende la scena molto simile alla pellicola di Hitchcock, rendendo il film una buona riproduzione del classico, senza rinunciare, però, alla propria interpretazione.
Conclusioni
Un remake, o meglio, una copia dell’originale ben realizzata, che ha saputo di certo rendere giustizia al grande Alfred Hitchcock. Nonostante ciò, è necessario prestare la nostra attenzione su ancora due elementi, primo fra tutti il cast. L’attore Vince Vaughn, dall’aspetto forte e robusto, non sembra infatti incarnare quelle caratteristiche tipiche del ruolo interpretato, che lo rendevano al contempo insospettabile e innocuo.
Manca, ancora, quella somiglianza tra i protagonisti, soprattutto tra le sorelle Lila e Marion e tra Sam e Norman, capace di creare un’ambiguità vista con ancor più inquietudine da parte dello spettatore. Questo gioco di doppioni era poi rafforzato dalla presenza di innumerevoli specchi, che portavano i personaggi ad aver timore anche di loro stessi. Ammirevole è, comunque, l’abilità di Gus Van Sant di trasformare gli errori originali in punti di forza del film.
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