Bolognese, nato il 3 novembre 1938, Giuseppe Avati, detto Pupi, si laurea in Scienze Politiche, ma insegue fin da ragazzo il sogno del cinema, frequentando corsi di regia e cimentandosi con la macchina da presa. Pupi fu un clarinettista promettente, una carriera però stroncata da un esordiente Lucio Dalla, rivale e grandissimo amico, che gli rubò la scena con il proprio talento.
Come dichiarerà lo stesso Pupi, la bravura di Dalla gli ha fatto comprendere la differenza tra passione e talento inducendolo a cercare la propria strada, che sarebbe diventata quella cinematografica. Infatti grazie alla visione di “8½” di Federico Fellini, Avati viene folgorato e sarà in quel momento che, comprendendo la differenza tra passione e talento, deciderà di diventare regista.
Pupi Avati: carriera
In coppia con il fratello Antonio Avati è diventato uno dei registi più solidi, riconoscibili e amati del panorama non solo nazionale. Le atmosfere della sua Bologna, i ricordi e gli aneddoti più interessanti sono al centro di libri e film, e intrattengono generazioni di italiani.
Avati dirige il suo primo film nel 1968, “Balsamus, l’uomo di Satana” e nel 1974 torna con la pellicola “La mazurka del barone“. Due anni più tardi dirige “La casa delle finestre che ridono” che colpirà la fantasia di molti giovani nonchè premiato al Festival del film fantastico di Parigi; successivamente con “Jazz band” (1978), vince fra l’altro il premio della critica a San Sebastian e con il film “Aiutami a sognare“, consacrerà Mariangela Melato, vincitrice nel 1980 del Nastro d’argento e del David di Donatello come miglior attrice.
Fra gli altri film diretti il pluripremiato “Una Gita Scolastica” (1983), “Noi tre” (1984), premio speciale della Giuria al Festival di Venezia, “Regalo di Natale” (1986), “Magnificat” (1992), “Festival” (1996), “Il Testimone dello Sposo” (1997). E con il più recente “I cavalieri che fecero l’impresa” nel 2001 ha realizzato un vero e propio colossal italiano. Nel 2003 gli viene assegnato il David di Donatello come miglior regista per “Il cuore altrove“.
Negli anni duemila ha diretto Claudio Santamaria e Vittoria Puccini in “Ma quando arrivano le ragazze?” (2005) e ha girato ” La seconda notte di nozze” (2005) con Katia Ricciarelli e Neri Marcorè. Ha realizzato la pellicola “La cena per farli conoscere” (2007) ed ha diretto il film drammatico “Il Papà di Giovanna” presentato al Festival di Venezia del 2008.
“Un Matrimonio”: tra fiction e vita reale
Avati propose al direttore di Rai Fiction la realizzazione di una miniserie dal titolo “Un Matrimonio“, con le seguenti intenzioni: “Voglio raccontare la storia di un matrimonio che dura 50 anni. La storia di un matrimonio così lungo oggi sembra impossibile, invece io ne festeggio 46″. La miniserie racconta la storia d’amore fra due bolognesi dal 1948 al 2005, anno delle nozze d’oro dei protagonisti. Una coppia che, superato il dislivello sociale prima e un tradimento poi, riesce a convolare e in seguito a mantenersi salda durante le traversie, proprio come accade al regista.
La miniserie sfiora fiction e realtà, infatti, Avati in un’intervista dichiara: “È stata un’esperienza magnifica perché mi ha permesso di unire due storie, quella dei miei genitori nella prima parte e mia nella seconda“. Suo padre è venuto a mancare molto presto, come accadrà nella fiction, passando poi al suo vissuto, a quando conquistò sua moglie, una delle ragazze più belle di Bologna; un inizio inconsapevole, anche perché il cinema arriverà dopo il matrimonio.
Pupi Avati: risposa la moglie
Dopo sette anni di matrimonio e due figli il regista ha messo su un’altra storia d’amore con un’altra donna come afferma: “Andavo tutti i giovedì a trovare i miei figli, portavo loro un regalino, nella miniserie si vede. Stavo privando i miei figli di una figura paterna, stavo lasciandoli in una situazione che li avrebbe penalizzati“. Da qui la scelta di ricominciare: “Negli anni ho capito che ero tornato per lei, e che più stavamo assieme e più ci volevamo stare“. Avati ha voluto risposarla: “A 50 anni ho pensato che forse valesse la pena risposarci, ma nella consapevolezza, sapevo che questa persona che avevo di fianco era quella con cui volevo condividere le cose orrende e le cose magnifiche della nostra vita“.
Il genio che non sarebbe nato
Ultimo capitolo degno di nota, come si evince nella fiction. Avati ha raccontato di aver avuto un terribile periodo lavorativo, così la moglie rimasta in cinta di un terzo figlio, non potendolo mantenere optano per l’aborto di cui ben presto si pentiranno, infatti, otto mesi dopo è arrivato Alvise Avati. Oggi la carriera del figlio, è degna di quella del padre, come conclude il regista nella sua intervista: “Ha fatto Avatar, ha fatto Transformer, King Kong, Guerre Stellari e ha lavorato con George Lucas, abbiamo rischiato di non far nascere un genio. Questo per dirvi com’è fatta la vita“.
Giuliana Aglio
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