La Regina Elisabetta II cosa ne pensava del femminismo? Sono trascorsi pochi giorni dalla morte della Sovrana più longeva della storia; la notizia ha fatto il giro del mondo e chiunque, a suo modo, ha voluto porgerle un ultimo saluto. Durante i 70 anni del suo regno, la monarca ha rivelato compostezza senza mai squarciare quel velo di neutralità propria di un Sovrano che deve, per forza di cose, essere apolitico. Ciò che traspare dalla sua figura è una profonda determinazione, un’influenza sui media, la politica e le questioni sociali che non ha avuto bisogno di scalpitare per richiamare attenzioni.

La Regina Elisabetta II e quel femminismo tacito di cui il genere diviene irrilevante

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La Regina Elisabetta II non si è mai espressamente pronunciata sul femminismo e sui diritti delle donne. Un Capo di Stato non può esprimere opinioni sociali e politiche ma è tenuto a mantenere un ruolo neutrale. Tuttavia le posizioni di Queen Elizabeth, nel tempo, si sono inanellate in un succedersi di azioni che l’hanno identificata come una vera e propria icona femminista della sua epoca. Olivia Coleman, l’attrice che nella terza stagione di The Crown interpreta la Regina Elisabetta II, la definisce come ”L’ultima femminista”. Elisabetta sale al trono nel 1952, ad appena 25 anni; in un tempo in cui la figura della donna si relegava semplicemente a quella di casalinga, la Regina discuteva con un uomo dalla caratura di Churchill e si faceva spazio in un mondo di soli uomini.

Quello della Regina Elisabetta II, per tutti i 70 anni di Regno, è stato un femminismo che non ha avuto bisogno di schiamazzi o proclami; la sua politica femminista si è semplicemente compiuta attivamente e con concretezza, senza aver bisogno di sottolinearne gli eventi. La più grande rivoluzione della seconda Era Elisabettiana è stata quella di non farsi travolgere dal suo stesso genere; ha agito, senza aver timore e senza lasciare che il proprio genere la relegasse e la definisse. Emma Barnett, conduttrice di “Woman’s Hour” della BBC nel 2015 scrive:

“Lei il genere è sempre stato irrilevante per la sua capacità di fare il suo lavoro”, ha scritto Barnett, e “facendo quel lavoro stoicamente e con la massima dedizione, ha inavvertitamente fatto molto per normalizzare l’idea di avere una donna al comando”.

Differenze con la Regina Vittoria in materia di diritti delle donne

A differenza della sua trisavola, la Regina Vittoria, Elisabetta II pur aderente all’assetto monarchico e alle tradizioni, dal carattere pragmatico e dalle movenze stoiche, ha dato un messaggio chiaro in materia di diritti delle donne. Storicamente, il movimento delle donne vede luce alla fine del XIX secolo, proprio quando a capo del Regno c’era la Regina Vittoria che, tuttavia, era contraria a un mondo in cui la donna godesse di pieni diritti.

Nonostante Vittoria, al tempo, fosse un modello da seguire per i primi movimenti femministi la Regina della grande epoca vittoriana riteneva che la concessione del diritto di voto a una donna fosse ”una follia pazza e malvagia” e che, le stesse donne, non erano proprio fatte per governare. Era contro il lesbismo, ma soprattutto era una donna del suo tempo; apprezzata dal popolo femminile come simbolo di fierezza e indipendenza. Dopo la morte della Regina Elisabetta II si è scatenata una guerra social fra utenti che esprimono cordoglio verso la scomparsa di Sua Maestà e chi, invece, ne parla con una punta di livore. Eppure, è un dato di fatto che rispetto alle sovrane del passato, Elisabetta II abbia accolto il femminismo in modo concreto.

Romanticizzazione della Monarchia o concretezza? I punti chiave del femminismo di Elisabetta II

Risulta lapalissiano che in un momento storico claudicante e incerto, la morte di un simbolo come la Regina Elisabetta II infonda pareri contrastanti. La parte che non comprende la vicinanza alla Royal Family dopo la dipartita della Sovrana, parla di Romanticizzazione della Monarchia; un punto fermo è crollato, l’ultimo baluardo del ‘900, e qualcuno si lascia cullare da sentimenti nostalgici vista l’insicurezza della società di oggi. Tralasciando le polemiche sul caso, è indubbio che la Regina Elisabetta II abbia lasciato un’eredità storica di un certo spessore e sì, anche delle evidenze concrete che sottolineano il suo silente femminismo, che non ha mai avuto bisogno di essere urlato. Ma quali sono i momenti iconici del femminismo elisabettiano?

  • Arruolamento durante la II Guerra Mondiale: a 18 anni la Regina Elisabetta II si arruola nell’Auxiliary Territorial Service, nonostante il padre Giorgio VI  fosse contrario; conosciuta con l’identificativo n. 230873 diviene autista e meccanico. L’unica donna reale ad aver servito nell’esercito.
  • Il Re saudita Abdullah: durante una visita nella residenza di Balmoral, nel 1998, la Regina propone al sovrano una visita nella sua tenuta. Con stupore del Re Saudita si mette al posto di guida, un comportamento inaccettabile, considerando che nel Paese di Abdullah le donne non potevano guidare. La Regina parla con lui e guida velocemente mentre il Re le intima di rallentare e concentrarsi sulla strada.
  • Modifica delle leggi di successione: Fino al 2011 la legge stabiliva che l’erede al trono fosse sempre il figlio primogenito del Monarca. Elisabetta ha supervisionato tale legge consentendo a figli e  figlie di qualsiasi futuro sovrano di avere eguali diritti al trono.
  • Il Discorso al Women’s Institute: Nel 2015, Sua Maestà tiene un discorso moderno, femminista e solidale per il centesimo incontro dell’Istituto delle donne:

Nel mondo moderno, le opportunità per le donne di dare qualcosa di valore alla società sono più grandi che mai; perché, attraverso i propri sforzi, ora svolgono un ruolo molto più importante in tutti i settori della vita pubblica. Nel 2015 si continua a dimostrare che si può fare davvero la differenza nella vita delle donne di tutte le età e background culturali, in uno spirito di amicizia, cooperazione e sostegno.”

La rinuncia del cognome del marito, l’inserimento dell’istruzione per le donne reali e il sostegno all’industria della moda femminile

Non solo momenti politici, la Regina Elisabetta II ha attuato la propria personale battaglia femminista anche nel privato. Queen Elizabeth II, infatti, dopo aver sposato nel 1947 il Principe Filippo, dichiara di non voler prendere il cognome del marito: Mountbatten. Il suo cognome, Windsor, sarebbe continuato come quello della famiglia reale. Un’altra rivoluzione concreta è stata quella dell’istruzione per le donne reali che sarebbero venute dopo di lei; come da tradizione e da protocollo, le bambine avevano un’istruzione prettamente casalinga. Sua Maestà e la sorella, la Principessa Margaret, erano state educate in casa.

La missione di Elisabetta II, una volta sovrana, è proprio quella di apportare delle differenze nella didattica delle donne appartenenti a famiglie nobili o reali. Nonostante i dubbi della Regina Madre, infatti, i figli della Sovrana studiano fuori dal Palazzo. Nel 2018, la Regina Elisabetta II è stata la prima Monarca a partecipare a una sfilata della London Fashion Week, accanto ad Anna Wintour; l’occasione era la sfilata di Richard Quinn. Un vero e proprio messaggio di sostegno all’industria della moda femminile.

Commonwealth e colonialismo, il ruolo di Sua Maestà

L’ultimo sovrano a ricevere l’insigne titolo di Imperatore è Giorgio VI, padre di Elisabetta II, che lo perde dopo l’indipendenza di India e Pakistan nel 1947: si avviava il processo di decolonizzazione. Nel 1931 si istituisce il Commonwealth, un’organizzazione politica di Stati volta all’uguaglianza e alla libertà di questi ultimi. Elisabetta è il simbolo del Commonwealth, seppur non abbia alcun potere effettivo ma sia solo una figura rappresentativa la cui funzione è simboleggiare la coesione interna. Nonostante questo suo ruolo marginale, spesso la Regina è stata attaccata per via delle azioni commesse dal Regno Unito nella politica di decolonizzazione, poiché simbolo del Commonwealth.

Mentre Elisabetta diventava Regina, in Kenya emergeva il movimento indipendentista noto come Mau Mau represso dal governo britannico; le critiche a Elisabetta II, tacciata di razzismo, implicano una profonda dimenticanza: la politica estera del Regno Unito si attua grazie ai governi eletti e il sovrano non ha alcuna influenza. Le accuse sono un riflesso dell’operato del governo in carica in quel momento storico. Posto che sia noto il ruolo formale della Sovrana al suo interno, ovviamente non è dato sapere quanto la Regina sapesse effettivamente delle vere e proprie problematiche delle colonie e dei paesi del Commonwealth.

La Regina Elisabetta II: apartheid, femminismo e quel rapporto controverso con Margareth Thatcher

La discrezione e la compostezza della Regina emerge anche nel rapporto con Margaret Thatcher. Notoriamente anti-femminista, la Lady di Ferro considerava il femminismo un vero e proprio veleno. È noto come fra la Regnante e il Primo Ministro non scorresse buon sangue per divergenze di opinioni sulle rispettive idee politiche. Fra gli scontri più conclamati quello per la situazione in Sud Africa.

La Thatcher era contraria a imporre sanzioni per spingere a porre fine alla politica dell’apartheid; la Regina, invece, era preoccupata che la decisione del Primo Ministro, di non aderire alle sanzioni internazionali, potesse influire sul pensiero che questa scelta veicolasse un messaggio errato; ovvero, fare intendere, in un certo senso, di voler affermare una sorta di supremazia bianca in Sud Africa un atteggiamento che Elisabetta II non avrebbe tollerato in nessuno modo. Successivamente, nel 1990, Sua Maestà stringe un rapporto di profonda amicizia con Nelson Mandela, primo leader del Sud Africa dopo l’apartheid. Chi accusa Elisabetta II di razzismo o di vicinanza alle politiche colonialiste, attacca un simbolo, non una donna che ha realmente influito; gli scontri con la Tatcher sul tema ne sono una prova.

Elisabetta II è stata la Sovrana delle tacite battaglie: un Sovrano che prende una posizione è un Regnante che divide il Paese, e questo la Regina lo sapeva; per questo il suo lavoro silenzioso sarà ricordato oggi e anche oltre.

Stella Grillo

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