Renato Zero e l’analisi de Il Carrozzone: fra le più grandi interpretazioni di un artista poliedrico, eclettico, trasformista. Il ricordo, la caducità del tempo, la morte, le beffe della vita.
Renato Zero, ”Il Carrozzone”: il circo della vita
Cos’è la vita se non un enorme palcoscenico? Un circo popolato da giullari, buffoni, fanti o re. Ognuno ha il suo ruolo nella storia, certo: ma è una trama che ha per tutti i suoi protagonisti la stessa fine. Il carrozzone è uno dei tanti modi in cui si definisce il circo, ma che con il tempo, ha assunto una connotazione dispregiativa. Del circo fanno parte gli artisti; ma anche quei fenomeni da baraccone a cui si riferisce il termine, nella sua accezione negativa.
Il Carrozzone di cui è interprete Renato Zero nel testo di Franca Evangelisti, non è altro che la metafora della vita stessa che scorre: e come nel circo esistono le maschere, gli artisti e gli aspetti più squallidi interpretati dai fenomeni da baraccone, così, nel fluire dell’esistenza degli uomini. Le regine, i fanti ed i re citati nella prima strofa, sono delle allegorie; caricature di personaggi della vita reale. Nonostante l’apparente parvenza di allegria che può suscitare il brano, il testo è un lungo excursus sull’incombenza fatale della morte: il carrozzone – la vita – va avanti con i suoi personaggi, nonostante la morte che, prima o poi, bussa alla porta di ognuno.
La morte, il finale che non può essere cambiato
La morte è solo un piccolo evento: una scena minore di un grande e maestoso spettacolo che è il carrozzone della vita. Nonostante si cerchi di allontanarne il pensiero o, si cerchi di esorcizzare la paura che un giorno vedrà il dissolversi di ognuno, esiste una sola verità:uno alla volta, chiunque scenderà dal carrozzone della vita. Interessante notare come, sia nel contenuto del testo che nell’intonazione vocale di Renato Zero, vi sia una sorta di velata ironia malinconica nella pronuncia del verso:
”Ridi buffone, per scaramanzia,
così la morte va via”.
Un’ammonizione canzonatoria, quasi compassionevole, rivolta a chi si illude con gesti scaramantici di allontanare l’unica cosa al mondo che, l’uomo, non può cambiare. La morte è un evento che non conosce sesso, distinzioni, nazionalità: un po’ come insegnava il principe Antonio De Curtis nella sua ‘A livella. E l’ilarità lampeggia nuovamente, quando, quasi con fare rassegnato esorta la folla a cantare, ad illudersi di scacciare l’estinzione eterna: nessun rito esorcizzerà il fatto che, uno per volta, chiunque scenderà dal carrozzone dell’esistenza.
Renato Zero, ”Il Carrozzone”: caducità del tempo, ironia e allegoria dell’esistenza
In occasione del funerale è uso comune vestire l’estinto con i propri abiti migliori: l’eleganza, i fiori che adornano il cammino del defunto, la chiesa, gli olezzi di incenso. Così canta Renato Zero:
”Sotto a chi tocca… in doppiopetto blu
Una mattina sei sceso anche tu!
Bella la vita che se ne va”.
Un evento che coglie l’uomo impreparato, ma che ogni essere umano sa che gli toccherà: ognuno ha il suo turno, e allora ecco l’eleganza del doppiopetto blu citato nella canzone. Agghindati, si scende dal carrozzone con la vita che sfugge via; La caducità del tempo che, nello svanire, fa apprezzare la vita dissolta e i ricordi che porta con sé: i fiori, il pane caldo. Piccoli piaceri che non si potranno più sperimentare. Cos’è allora la ricchezza, di fronte all’impotenza dell’uomo al cospetto della morte? Ecco la ”ricca povertà” citata nel brano: si è ricchi, ma non tanto da comprare la vita… E quindi, nonostante la ricchezza, poveri.
Cinismo e ipocrisia di un evento routinario
La morte coglie ogni forma vivente, ma non c’è tempo per piangere: il carrozzone va avanti, non curandosi di chi è sceso alla fermata precedente. Il bel doppiopetto blu, i pianti, le visite ai parenti del defunto, la scena del dramma non sono altro che piccoli slanci ipocriti: la tragedia si dissolve e, con il tempo, sparisce diventando routine. Resta il ricordo, i sogni irrealizzati, la fantasia innocente, i ”vecchi cortili dove il tempo non ha età”: luoghi rimasti incastonati nei giochi ingenui dell’infanzia.
La morte che strappa via una persona che amava la vita: descritta come una donna facile che dà retta a chiunque e sul meglio del tempo, chiude la porta. Quasi un imbroglio, una fregatura: perché il carrozzone della vita, il circo, i ruoli vanno avanti. E non resta nulla delle ipocrisie e dei vecchi cortili; il carrozzone ricomincia il suo percorso vitale, rigenerandosi come se nessuno fosse mai esistito.
Renato Zero, ”Il Carrozzone” e la ”Nera Signora” di Roberto Vecchioni
Due personalità diverse del panorama musicale italiano che cantano la stessa trama: la morte imprescindibile che travolge l’uomo. Così come Il Carrozzone di Renato Zero, anche la ”nera signora” citata in Samarcanda di Roberto Vecchioni, è il finale della storia di ogni uomo. Il brano, nella sua melodia, si presenta come una ballata allegra: un gruppo di soldati usciti indenni dalla guerra festeggiano credendo di aver scongiurato la morte. Fanno festa fra vino e risate: ma d’improvviso, un soldato scorge la Nera Signora fra la folla. Il soldato fugge a Samarcanda credendo di averla seminata, ma la triste sorpresa fa capolino, una volta che l’uomo giunge a destinazione: la morte è lì ad attenderlo.
Emblematica la domanda dell’uomo che, ingenuamente, rivela di esser sfuggito e che mai si sarebbe aspettato di trovare lì il suo destino. Ancor più potente la risposta della Nera Signora che annuncia al soldato di essersi sbagliato: lei era sempre stata lì ad attenderlo, era lui quello lontano. Il destino del soldato era già segnato e, fuggendo, l’uomo non ha fatto altro che assecondarlo. Samarcanda, come Il Carrozzone, esprimono una verità universale: la fatalità della morte destinata ad essere presente nel destino di ognuno… Per quanto chiunque, cerchi di sfuggirle.
Lo scorrere del tempo e i ricordi
Il tema della morte e dello scorrere del tempo è alla base di molti topoi ricorrenti in produzioni letterarie, artistiche e musicali. Senza la presunzione di connotare un testo musicale di significati semantici errati o differenti dall’origine, è interessante notare come, Renato Zero, attraverso l’interpretazione de Il Carrozzone, mescoli ironia, cinismo, malinconia, fluire del tempo e, quasi, rassegnazione ad un finale che travolge tutti. Cosa resta, se non il ricordo del tempo che fu, dopo i pianti e le atmosfere funeree? Ugo Foscolo considerava la morte come un momento di verità per l’uomo che si accingeva a misurarsi con sé stesso. Ma ogni uomo vive se ricordato, dirà poi nei Sepolcri. I ricordi della giovinezza e la stessa nostalgia, sono delle immagini ricorrenti nelle canzoni di Renato Zero. Si pensi a Spiagge, Amico, L’Esempio, Più su da cui l’emblematica frase: ”un drogato è soltanto un malato di nostalgia”.
L’ineluttabilità della fine della giovinezza, porta anche lo sgretolarsi dei sogni ingenui che, con il tempo, si schiantano con la vita dalla trama finale comune. Dirà il poeta Guido Gozzano, nella poesia Salvezza, contenuta nella raccolta I Colloqui, 1911:
”Poi che non ha ritorno
il riso mattutino.
La bellezza del giorno
è tutta nel mattino”.
In questo caso, il poeta crepuscolare si riferisce ad un’evidente metafora della vita: il giorno qui inteso è l’esistenza intera, mentre, la mattina è la giovinezza; il mattino è sì il momento migliore della giornata, ma anche della vita intera in quanto simbolo di spensieratezza. Non restano, una volta trascorso quel tempo dorato, che i ricordi. Proprio come i cortili del tempo senza età citati ne Il Carrozzone; tutto si sfuma e si cristallizza in un tempo che fu. La vita va avanti senza aspettare nessuno, con i suoi personaggi grotteschi, seri, nobili, giullari o regine: ma tutti accomunati dal ricordo agrodolce del tempo trascorso, dalla fatalità di una fine che piomba addosso ad ogni uomo, poiché, nessuno è speciale: la vita va avanti, lasciando indietro chi scende.
Stella Grillo
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