RetroNerd #21 – Legend of Zelda: Ocarina of Time

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Di Redazione Metropolitan

Eccoci qui al ventunesimo appuntamento con la rubrica vintage di Infonerd, dedicata ai classici capolavori videoludici che hanno segnato la storia del medium. Questa volta, lasciamo Lucasarts per approdare su Nintendo, precisamente su Nintendo 64, per parlare di un titolo considerato da molti una pietra miliare: Legend of Zelda: Ocarina of Time.

Legend of Zelda: un’ocarina per domarli…

Fonte: Google Immagini

Legend of Zelda è il fiore all’occhiello di Nintendo, una killer app consolidata per tutte le generazioni delle varie console casalinghe dell’azienda di Kyoto dal 1986 ad oggi, quando uscì per la prima volta il primo LoZ, partorito dalla mente di Shigeru Miyamoto. In più di trent’anni di attività, la saga che segue le avventure del giovane Link, ha collezionato tantissimi titoli canonici, molti dei quali slegati tra di loro ma non per questo poco importanti.

Personalmente, il mio cuore batte per Playstation per una serie di ragioni: brand loyalty, fenomeno cult verso la fine degli anni Novanta (in cui avere una Playstation era uno status symbol). Nintendo riuscì ad attirare la mia attenzione solo con Pokémon, e Legend of Zelda è sempre stato relegato ad un titolo di culto ma per me non accessibile, in quanto non avevo nessuna console casalinga per poterlo provare.

Sono stati anni di amore e diffidenza: non riuscivo esattamente a collocare Legend of Zelda in un genere ben preciso: non è un gioco di ruolo, ma neanche un action-adventure duro e puro. Quindi, di cosa si tratta? La risposta giusta l’ho avuta un amico, quando mi rivolsi a lui per sapere di più della saga: “Il genere di Legend of Zelda è semplicemente… essere Zelda!”. Mai frase fu più vera.

Non serve esattamente collocare un bel gioco in un genere ben preciso, perché il capolavoro di Miyamoto è una commistione di generi videoludici unici che – armoniosamente – hanno saputo creare un titolo del genere. E, soprattutto, al momento giusto.

Legend of Zelda nasce proprio dal concetto di esplorazione, un’esperienza che nei videogiochi a quel tempo difficilmente andava in voga. Nei videogiochi degli anni Ottanta, in quelli dei tanto rimpianti cabinati, l’obiettivo era quello di sconfiggere un nemico ed andare avanti, fino ad una continua, estenuante, vittoria. Ciò che Legend of Zelda portò nelle case fu quella che è considerata la prassi nei videogiochi di oggi. Pensiamo a ciò che è accaduto negli anni Novanta in poi: qualsiasi titolo di successo, seppur circoscritto in aree limitate a causa della tecnologia del tempo, dava diritto al giocatore di esplorare l’ambiente circostante ed imparare da questo: enigmi, elementi sandbox, battaglie. Tutto era lì per dare al videogiocatore la sensazione di fare leva esclusivamente sulle sue forze.

Legend of Zelda, seppur condizionato da una trama abbastanza basilare, ha in pugno proprio questa particolarità che era difficile da trovare a metà degli anni Ottanta, su NES.

Ocarina of Time, un cult da provare almeno una volta…

Oggi vi vorrei parlare di uno dei titoli più fortunata dell’intera serie: Ocarina of Time. Uscito nel 1998 per Nintendo 64, diventò in pochissimo tempo la killer app del colosso di Kyoto perché introduceva, per la prima volta, il mondo di Hyrule (la terra in cui nasce Link, il protagonista indiscusso) in modalità 3D, particolarità che ventidue anni fa fece “smascellare” tutti.

Complice il fatto di essere in vacanza, sto finalmente recuperando Legend of Zelda: Ocarina of Time su Nintendo 3DS. Io, sonara incallita, sto cercando di recuperare i titoli cult di Nintendo che sono stati per troppi anni nell’ombra della scatoletta grigia, prima, e del monolite nero, poi, di Sony. Vorrei quindi cogliere la palla al balzo e parlare un po’ di Ocarina of Time, di cosa è stato per l’epoca e di quanto ancora può offrire ai giorni nostri.

Godersi Ocarina of Time oggi è un po’ anacronistico. Siamo abituati alla grandezza dei fortunati successori del titolo, ma anche all’innovazione tecnologica degli odierni anni Venti. La vastità e la dinamicità dei mondi videoludici è il nostro pane quotidiano, ma ci occorre fare un piccolo sforzo e tornare a vent’anni fa, ripensare alla tecnologia dell’epoca e cosa ci sarebbe piaciuto vedere in un videogioco. L’avvento dei videogiochi open world e dei cicli di giorno/notte fece nascere in me un grande entusiasmo.

Con Ocarina of Time nel 1998 e successivamente con Shenmue nel 1999 su Sega Dreamcast, ci fu l’avvento di un mondo virtuale dinamico e influenzato dal nostro stile di gioco. Il mondo di Hyrule in particolare, oltre a presentarsi in una nuova veste tridimensionale, era vivo e partecipativo: i suoi abitanti non erano semplici NPC ma dei personaggi appartenenti a classi sociali ben delineate con una routine definita, partecipanti in toto della vita collettiva. Grazie all’avvento del 3D, i dungeon di LoZ: Ocarina of Time ebbero una nuova linfa vitale. Più competitivi, difficili, in cui i sensi del giocatore vengono messi a dura prova, con un level design incredibile per l’epoca.

Il famoso z-targeting nel combat system di LoZ: Ocarina of Time. Fonte: Google Immagini

Come non pensare poi all’incredibile colonna sonora. Come suggerisce il titolo, la musica è parte integrante di LoZ: Ocarina of Time. Link, l’elfo di Hyrule entrato nel cuore degli appassionati, deve salvare il suo mondo dalle grinfie del malefico Ganondorf, il villain per eccellenza, che vuole impossessarsi della Triforza, reliquia che riesce ad esaudire qualsiasi tipo di desiderio. Se nel primo LoZ, la Triforza su divisa in otto parti nascoste in altrettanti dungeon (come le sfere del drago), in Ocarina of Time Link deve viaggiare nel tempo e raggiungere sette saggi in grado di distruggere Ganondorf (e ancora una volta gli echi di Toriyama si fanno sentire, Chrono Trigger sei tu?). Per viaggiare nel tempo, Link deve imparare delle melodie con la magica ocarina in suo possesso. E saremo proprio noi videogiocatori a suonarle, pigiando su specifici tasti sullo spartito virtuale.

Il combat system fu innovativo per l’epoca e un’altra grande innovazione per la saga stessa: il z-targeting in cui è possibile mirare un nemico e muoverci nell’ambiente come se fossimo in un titolo 2D. La modalità di target-lock la troveremo in seguito in tanti altri titoli come Dark Souls o Kindgom Hearts.

Legend of Zelda: Ocarina of Time è frutto di diversi team di sviluppo che hanno lavorato all’unisono in quanto c’era chi si occupava specificatamente del game design, dei dungeon, del comparto sonoro e così via, in cui Miyamoto supervisionava tutto. Anche questo aspetto così avanti nella realizzazione è stato adottato anche da altre case di sviluppo tra cui quelle che attualmente sono a lavoro sui titoli di futura generazione, come Rockstar Games e CD Projekt Red.

Dove giocare The Legend of Zelda: Ocarina of Time, oggi?

Fonte: Google Immagini

Provarlo su Nintendo 2DS/3DS grazie al supporto della tridimensionalità (laddove è possibile) e una nuova veste grafica è un ottimo compromesso per godersi un titolo a poco prezzo che ha fatto la storia dei videogiochi, oltre alla comodità di portarsi con sé una console, come il Nintendo 2DS/3DS, che non è ancora invecchiata male malgrado il dilagante e meritato successo di Nintendo Switch. Su Switch, Ocarina of Time ha trovato il suo fedele successore in termini di fama e innovazione, con LoZ: Breath of The Wild diventando, all’uscita, una killer app per Switch in grado di superare in termini di vendite il tanto osannato Horizon Zero Dawn di Guerrilla per PS4.

I fan sperano in un remake di Ocarina of Time in vista dell’anniversario dei 35 anni dall’uscita, nel 2021, e intanto, Nintendo ha ultimamente rinnovato il marchio. Chissà se questo lascia presagire qualcosa di più…

Questo è il penultimo appuntamento di Retronerd per il mese di Agosto, ci rivediamo a venerdì prossimo con un altro classico del colosso di Kyoto!

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